Maria Rosa Panzera

Maria Rosa Panzera

Astrocuriosità | ottobre 2019 – Punti fermi

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Oggi è finalmente il grande giorno: osserveremo una pulsar veloce in accrescimento, che ha un periodo di rotazione di 2.5 millisecondi, simultaneamente con due satelliti per astronomia X, cosa che ci permetterà anche di confrontare i risultati con quelli ottenuti qualche mese fa con un altro satellite.Coordinare le osservazioni è stato difficile, dato che non solo bisogna ottenere tempo di osservazione in date specifiche, notoriamente non agevole, ma anche perchè non era ovvio che i due satelliti potessero osservare proprio simultaneamente, visto che sono su due orbite diverse con limitazioni diverse.Ho un problema però: i due satelliti osserveranno da posizioni diverse e questo significa che i dati che arrivano non saranno veramente simultanei, dato che la distanza dalla pulsar sarà diversa.Si dirà che una differenza di qualche migliaio di chilometri non è nulla rispetto alla distanza di una sorgente astronomica, ma quello che dobbiamo confrontare è il tempo che la radiazione impiega a viaggiare per questa distanza con il periodo della pulsar. Se siamo in una configurazione sfortunata i due satelliti potrebbero avere una distanza dalla sorgente diversa di 7000 chilometri.Per fare questo tragitto i fotoni X impiegano 23 millisecondi, quasi dieci volte la pulsazione.Troppo. Per essere chiari: se io osservo al tempo T un massimo nella pulsazione, un osservatore posto 1.25 millisecondi luce (375 chilometri) più distante dalla sorgente al tempo T osserverà un minimo. Saremo in disaccordo completo.C’è un altro problema, quello del confronto con le osservazioni fatte mesi fa.In qualche mese la terra di sposta considerevolmente nella sua rivoluzione intorno al sole, quindi le vecchie osservazioni risentiranno di un effetto analogo: anche tenendo conto della differenza dei tempi di osservazione, la radiazione ha viaggiato distanze molto diverse e qui parliamo di minuti luce, non di millisecondi.L’ideale sarebbe osservare tutti sempre dalla stessa posizione, in modo che la distanza dei nostri strumenti dalla sorgente sia sempre la stessa.Ovviamente questo non è possibile, ma noi conosciamo la posizione della terra e dei satelliti con precisione, quindi […]

Astrocuriosità | settembre 2019 – Ultimo tango di un buco nero e una stella di neutroni

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini 900 milioni di anni fa, in una lontana galassia, due stelle orbitavano l’una attorno all’altra. Non erano due stelle normali.Nella loro breve vita avevano partecipato da protagoniste alla storia del loro angolo di universo.Erano nate grandi, una con una massa di circa 10 volte quella del Sole, e l’altra il doppio.Come i grandi cantanti rock avevano vissuto di corsa, e come Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison erano morte giovani.Ma dopo la morte come stelle normali, stavano attraversando una nuova vita.Le incandescenze della loro giovinezza sfrenata, che le aveva portate a generare poderosi venti stellari erano finite, ed erano passati anche i sussulti delle loro atmosfere.Si erano ritirate a vita privata, in un volume piccolissimo, condensandosi in un modo incredibile, sconosciuto a noi umani.Una era diventata un buco nero, staccandosi dalla mondanità di una vita appariscente, e l’altra era diventata una stella di neutroni, fermando la sua contrazione ad un passo dall’abisso.E sono rimaste così, quasi ibernate, per centinaia di milioni di anni, percorrendo infinite volte le loro orbite in una danza che sembrava infinita.Sembrava, ma non era. Lentamente, orbita dopo orbita, le loro distanze si avvicinavano, come amici che smussano le loro spigolosità, e inesorabilmente i due corpi celesti si trovavano ad essere sempre più vicini. Ad orbite più ravvicinate corrispondevano velocità maggiori, fino a quando la danza si è fatta sempre più frenetica, in un sussulto di giovinezza ritrovata.Lo spazio intorno non poteva rimanere immobile, davanti a tanta manifestazione di forza.La gravità sempre mutevole intorno ai due corpi danzanti faceva tremare lo stesso tessuto dello spazio.Se fossimo stati lì vicino, a vedere questo ultimo tango, saremmo rimasti affascinati e allo stesso tempo attoniti, compressi e dilatati, completamente impreparati a tanto spettacolo: lo spazio e il tempo che cambiano seguendo le piroette dei due ballerini, seguendo il ritmo di una musica silenziosa.E come i ritmi ossessivi che ci ipnotizzano, anche questa danza diventa sempre più […]

Astrocuriosità | luglio 2019 – La prima immagine di un buco nero: foto o non foto?

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Il 10 aprile 2019 è stata presentata al mondo la prima immagine di un buco nero. In questa “curiosità” vorrei allontanarmi momentaneamente dall’astronomia per fare chiarezza sulla inane discussione sul fatto che la prima immagine di un buco nero, al centro della galassia M87, sia o non sia una foto.Per prima cosa i fatti: l’immagine (anzi, le immagini) che sono state rese pubbliche sono state ottenute con una rete planetaria di radiotelescopi.Un radiotelescopio è un’antenna sensibile alle onde radio ad una certa frequenza.Quello che registra è l’intensità dell’emissione radio in una certa, ridotta, porzione di cielo.Se si vuole ottenere un’immagine bisogna fare dei passaggi multipli nella zona da osservare e poi ricostruire l’immagine.Nel caso di una rete di telescopi come appunto l’Event Horizon Telescope (EHT), i dati dei vari radiotelescopi devono essere analizzati insieme.Grazie al fatto che i radiotelescopi sono lontani fra loro, si possono utilizzare tecniche di interferometria basate sul fatto che la distanza dei radiotelescopi dalla sorgente non è la stessa. In questo modo i vari telescopi funzionano come un unico grande telescopio grande quanto la separazione fra le unità singole e quindi la sua risoluzione spaziale è molto più alta (il fiammifero sulla luna di cui ha parlato Gabriele Ghisellini – vedi curiosità di giugno 2019).I conti sono molto, molto più complessi, ma si tratta anche qui di una ricostruzione.Se per “fotografia” si intende l’analogo di un “selfie” scattato con il cellulare, qui non si può parlare di fotografia.Ma quando si può parlare di fotografia e cos’è una fotografia? Fino ad una ventina di anni fa, si esponevano pellicole fotosensibili alla luce, poco importa se l’apparecchio fosse una fotocamera reflex all’avanguardia o una scatola per scarpe con un buco (ovvero una fotocamera a foro stenopeico – a questo proposito cliccate qui per andare all’Astronomy Picture Of the Day del 27 giugno 2019). Poi si sviluppava e fissava l’immagine in camera oscura, operazione che per semplicità qui […]

Astrocuriosità | giugno 2019 – La prima immagine di un buco nero

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Il 10 aprile 2019 è stata presentata al mondo la prima immagine di un buco nero. Quasi tutti ci aspettavamo di vedere il “nostro” buco nero, quello che abita nel centro della Via Lattea.Invece no, il primo buco nero ad essere ripreso è stato quello di una galassia gigante a noi vicina, M87, nel centro dell’ammasso di galassie della Vergine (Fig. 1).Una galassia da 2400 miliardi di stelle, lontana da noi 53 milioni di anni luce.E come mai, pur essendo così lontano, è stato il suo buco nero il primo ad essere immortalato dai nostri strumenti?Perchè questo buco nero è un mostro da 6.5 miliardi di masse solari, ben 1600 volte più massiccio del “nostro”, che pesa “solo” 4 milioni di Soli.Si sa, un’immagine vale più di 1000 parole. Ed è vero anche in questo caso.C’è chi dice che non mostra niente di nuovo, che è tutto come previsto, e quindi è inutile.Ma queste sono opinioni di chi ha dimenticato la grande diatriba che c’è stata nel passato riguardo all’esistenza dei buchi neri.D’accordo, sono passati un po’ di decenni, ma non abbiamo dimenticato lo scetticismo dello stesso Einstein (addirittura), di sir Arthur Eddington e di altri scienziati eminenti.E poi, credete che la scienza si accontenti di una teoria ben congegnata e logica, per decretare l’esistenza dei buchi neri? Assolutamente no.Vogliamo le prove! E la foto È una prova. I buchi neri esistono!Per arrivare a questo risultato c’è stato bisogno di sviluppare una tecnologia di assoluta avanguardia, capace di usare decine di radiotelelscopi sparsi su tutta la terra come se fossero un unico radiotelescopio.Petabyte di dati e quasi due anni di analisi, ma ne valeva la pena (Fig. 2). Quello che si è riusciti a fare è misurare dei dettagli minuscoli, come se qui, dalla Terra, riuscissimo a distinguere un fiammifero sulla Luna (Fig. 3).Detto questo, cerchiamo di capire quello che la foto mostra.Un […]

Astrocuriosità | maggio 2019 – La trottola di Einstein

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Nella curiosità di luglio 2015 abbiamo parlato del sistema binario transiente V404 Cyg, contenente un buco nero, che aveva raggiunto luminosità: elevatissime e di come decine di osservatori in tutto il mondo lo stessero osservando.Il 29 aprile 2019 è stato pubblicato un articolo sulla rivista Nature, di cui sono coautore, che riporta i risultati dei dati della rete mondiale di radiotelescopi VLBA, ottenuti proprio nel 2015, quando la sorgente era molto attiva (clicca qui per leggere l’articolo su Media Inaf: Getti impazziti dal buco nero a trottola).In diverse curiosità precedenti (febbraio 2010, dicembre 2013, luglio 2014) abbiamo parlato dei getti relativistici espulsi da sistemi contenenti buchi neri.Come abbiamo visto nel febbraio 2010, dai sistemi di massa stellare si osservano getti nella banda radio e, al contrario del caso dei buchi neri supermassicci al centro delle galassie (dove per vedere qualcosa che si sposti bisogna aspettare anni), possiamo vedere veri e propri “blob” muoversi nel cielo dopo essere stati espulsi, osservando giorno dopo giorno.Quello che si è visto nel 2015 in V4040 Cyg è che la materia espulsa cambia direzione più volte nel giro di qualche ora.Dato che si tratta di “proiettili” che si muovono su traiettorie rettilinee, l’unica interpretazione è che la regione che li produce ruoti, sparandoli quindi in direzioni diverse.La regione che li produce è la parte interna del disco di accrescimento, che ci aspettiamo possa essere disallineata rispetto al resto del disco: praticamente una “ciambellina” all’interno del disco il cui asse ruota, come una monetina che ruota su un tavolo.Il getto è espulso perpendicolarmente alla ciambellina, quindi la sua direzione ruota.Ma qual è il motivo per cui la ciambellina dovrebbe ruotare?Perchè lo spazio-tempo vicino a un buco nero rotante viene da questo trascinato, quindi tutto ciò che ci orbita intorno con un’orbita inclinata si deve comportare in quel modo.Un effetto di Relatività Generale che vediamo nell’emissione in raggi X del disco di accrescimento […]

Astrocuriosità | aprile 2019 – Bolle di raggi X nel centro della Via Lattea

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Viviamo in periferia. Lontani migliaia di anni luce dal centro della nostra galassia.E non possiamo vedere molto delle zone centrali della Via Lattea, perchè ci sono nubi di polveri che assorbono la luce visibile, come se il centro fosse avvolto dalle nebbie padane.La Fig. 1 dovrebbe rendere l’idea: le macchie scure indicano le polveri.Ma da qualche decina d’anni abbiamo degli altri mezzi per fendere la nebbia: possiamo guardare con altri tipi di luce, che attraversano le coltri di polvere indisturbati.Usando la luce infrarossa, le onde radio, i raggi X e i raggi gamma abbiamo scoperto quello che si nasconde nelle zone centrali della galassia. Una visione un po’ infernale, per la verità, con al centro un mostro.Proprio nel cuore della Via Lattea c’è un buco nero enorme, con una massa pari a 4 milioni di Soli (vedi curiosità di ottobre 2018 e settembre 2012). Vicino al mostro orbitano delle stelle, e magari qualcuna rischia, ogni qualche migliaio di anni, di passare troppo vicino al mostro, e di venire mangiata, con grandi fuochi d’artificio.Un po’ più distanti ci sono delle stelle binarie, cioè coppie di stelle che orbitano l’una attorno all’altra, e qualcuna di queste coppie è composta da un buco nero di taglia small (stellare) e da una stella normale, i cui strati esterni vengono a poco a poco risucchiati dal buco nero, come se questo fosse una mantide religiosa femmina. Un quadro d’insieme piuttosto violento, tutto sommato.E non è finita qui, perchè da qualche anno sappiamo che sopra e sotto il centro della Via Lattea esistono due strutture grandi migliaia di anni luce, a forma di bolle, che emettono raggi gamma, come fa vedere la Fig. 2. L’origine? Un mistero.E qui entra in scena il nostro Gabriele Ponti, da poco in forze all’Osservatorio di Brera: la Fig. 3 lo mostra vicino alla cupola del telescopio Ruths del nostro osservatorio nella sede di Merate (LC).Il suo studio, per la verità è cominciato quando ancora lavorava al Max […]

Astrocuriosità | febbraio 2019 – Ultima Thule

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Pensate di prendere la mira con un fucile e sperare di centrare un bersaglio grande un solo centimetro, e lontano 2000 km.Difficile? Sì, e non è tutto.Per aggiungere un po’ di brivido, il bersaglio si sta muovendo velocissimo e voi, prima di sparare, dovete tenerne conto.Sembra una cosa impossibile, eppure è proprio quello che la sonda New Horizon, della NASA, è riuscita a fare, fotografando come previsto il corpo celeste più lontano mai esplorato dall’uomo: Ultima Thule. New Horizon: è il nome della sonda, lanciata nel gennaio 2006, progettata per raggiungere e studiare Plutone e il suo satellite Caronte, fare una mappa della loro superficie e analizzare la loro atmosfera. La sonda, dopo l’accensione del terzo stadio detiene il record di velocità nel lasciare la Terra: 16,3 km/s, cioe` piu` di 58.000 km all’ora. Plutone: fino a qualche anno fa era il più lontano dei pianeti in orbita attorno al Sole, ma poi fu declassato a corpo minore del Sistema Solare proprio nel 2006, l’anno del lancio di New Horizon.La ragione? In quegli anni si scoprirono altri corpi grandi altrettanto e anche più di Plutone che appartenevano alla cosiddetta “Fascia di Kuiper“, e si decise che anche Plutone ne faceva parte. Luglio 2015: New Horizon finalmente raggiunge Plutone, e lo fotografa da una distanza minima di 12.500 km. Per raggiungerlo ha usufruito di una spintarella gravitazionale da parte di Giove, che ha permesso di accorciare il viaggio di un paio di anni. Ultima Thule: così è chiamato il corpo celeste raggiunto dalla New Horizon il primo gennaio 2019. Come spesso succede il nome Ultima Thule ha origine da leggende antiche, dal nome di un’isola (Thule) che si troverebbe nella parte nord dell’oceano Atlantico e visitata da viaggiatori partiti dall’odierna Marsiglia nel 330 a.C. Non si è ancora capito se questa isola leggendaria fosse la Groenlandia, oppure l’Islanda o una delle piccole isole […]

Astrocuriosità | gennaio 2019 – Comete e magnitudini

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Si è molto parlato della “cometa di Natale” nel mese di dicembre 2018.Questo oggetto e il suo passaggio natalizio ci permette di affrontare un paio di argomenti interessanti.Innanzitutto la cometa: il suo nome ufficiale è 46P Wirtanen.Carl Wirtanen è chi l’ha scoperta nel 1948, da cui il nome. Ma perchè 46P? La convenzione per i nomi delle comete, in vigore da quasi un quarto di secolo, prevede una lettera maiuscola che indica il tipo di cometa (P sta per cometa periodica) preceduta da un numero: in questo caso 46 significa la quarantaseiesima cometa periodica in ordine di scoperta.Poi dovrebbe venire l’anno e il semi-mese di scoperta, quindi il nome completo sarebbe 46P/1948 A1 Wirtanen: la 46ma cometa periodica, scoperta da Wirtanen nei primi quindici giorni del 1948, la prima in queste due settimane.Si tratta di un oggettino di diametro poco più di un chilometro in orbita intorno al sole con un periodo di circa cinque anni, cinque mesi e otto giorni.Nel punto più lontano della sua orbita (l’afelio) raggiunge più di cinque unità astronomiche dal sole (l’unità astronomica è la distanza della Terra dal Sole), nel punto più vicino (perielio) si riducono a una. Una cometa aumenta la sua luminosità quando si avvicina al sole; per questa cometa il punto più vicino è stato il 12 dicembre del 2018. Il prossimo sarà ovviamente nel 2023.Vista dalla terra sarà al massimo della sua intensità non esattamente al perielio: il picco è stato infatti il 16 dicembre 2018.Qui cominciano i problemi. Si era detto che avrebbe raggiunto una magnitudine massima di circa 3, ma cosa significa una magnitudine di 3 e perchè nonostante i media abbiano detto che era molto luminosa e molto grande io a occhio nudo dall’Osservatorio di Brera a Merate non ho visto niente?Cominciamo con la magnitudine e partiamo da lontano.Fino a tempi relativamente recenti le stelle si sono osservate con l’occhio, dopo Galileo Galilei anche […]

Astrocuriosità | dicembre 2018 – Lampi radio dal cosmo profondo: il mistero continua

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Lampi improvvisi di onde radio che durano poco più di un millisecondo. Da direzioni imprevedibili del cielo. Rimasti sconosciuti per tanto tempo, e scoperti nel 2007, quando il radiotelescopio australiano di Parkes (Fig. 1) è finalmente riuscito a rivelare segnali così brevi.All’inizio la scoperta è stata circondata da scetticismo, perché un lampo, come le rondini, non fa primavera.Dopo questo primo segnale, ne sono stati ricevuti degli altri, ma stranamente sempre attorno all’ora di pranzo.Lo scetticismo aumentò, fino a quando si scoprì che quelli che sembravano dei beep cosmici provenivano in realtà dai forni a microonde della cucina dell’osservatorio. Infatti, quando si apre lo sportello di un forno a microonde, questo si spegne automaticamente, ma ci mette circa un millisecondo a farlo.Grande delusione. Ma la storia non era finita. Dopo qualche tempo si scoprirono altri beep cosmici, e questa volta non c’erano forni a microonde nelle vicinanze. Il fenomeno doveva essere preso sul serio. Altri radiotelescopi, oltre a quello australiano, si misero in ascolto, e anche loro rivelarono altri beep, molto simili al primo, e ne abbiamo raccontato nella curiosità del settembre 2013 (Beep radio dal cosmo profondo: un mistero).Nel 2011 anche il grande radiotelescopio di Arecibo (Fig. 2) ne scoprì uno, e finalmente si riuscì a determinare con precisione la direzione di arrivo del lampo radio. Si puntarono subito dei telescopi normali, per luce visibile, e proprio nella direzione di arrivo del lampo radio si vide una galassia e si poté misurarne la distanza: più di due miliardi di anni luce. Come fa il lampo radio ad essere così forte, se proviene da così lontano? Evidentemente la sorgente di onde radio, il trasmettitore, deve avere una potenza grandissima.Nel breve istante di un millisecondo, deve produrre più energia di quanta ne produce il nostro Sole in un mese.Se queste sorgenti fossero all’interno della nostra Galassia, potremmo rivelarle con un cellulare. Ci sarebbe abbastanza “campo” in tutta la Via Lattea …Da qualche […]

Astrocuriosità | novembre 2018 – Saltellando sull’asteroide

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni L’esplorazione planetaria si sta spingendo sempre più in quella che fino a qualche anno fa era fantascienza.Questo mese proviamo ad andare un po’ nel dettaglio di una spettacolare missione giapponese.L’asteroide 162173 Ryugu, scoperto nel 1999, è uno degli oggetti del sistema solare pericolosi per la terra, dato che la sua orbita di 475 giorni interseca la nostra.Si tratta di un oggetto di forma simile a un diamante, del diametro di solo un chilometro e di tipo piuttosto raro.Il suo nome Ryugu deriva da quello del palazzo sottomarino dove abita il dio drago del mare nella mitologia giapponese. L’agenzia spaziale giapponese JAXA, forte del successo della missione Hayabusa (“Falco Pellegrino”), ha selezionato Ryugu come obiettivo della nuova sonda Hayabusa 2.Lanciata nel dicembre del 2014, Hayabusa 2 ha raggiunto Ryugu nel giugno di quest’anno dopo un lungo “inseguimento”.Resterà in orbita intorno all’asteroide per un anno e mezzo e poi rientrerà sulla terra alla fine del 2020, proprio come aveva fatto Hayabusa. Di solito le sonde non ritornano, ma c’è un buon motivo in questo caso.Nel settembre 2018, il mese scorso, Hayabusa ha sganciato due piccoli rover, dai roboanti nomi di Rover-1A e Rover-1B.Si tratta di due oggetti a forma di pentola, 18 cm di diametro e 7 cm di altezza.Sono stati sganciati quando la sonda orbitava a 55 metri dalla superficie di Ryugu.Ciascun rover è equipaggiato di due fotocamere e un termometro e hanno inviato delle immagini molto suggestive. Il nome Rover suggerisce che si spostino, ma come fanno senza “zampe” o ruote?Saltellano come rane utilizzando delle masse in rotazione al loro interno e sfruttando la bassissima gravità alla superficie di Ryugu.Al momento di scrivere stanno ancora zompando sull’asteroide. A inizio ottobre 2018 ha poi sganciato l’esploratore mobile di superfici di asteroidi (MASCOT), più grande e dotato di strumenti più sofisticati, inclusa una fotocamera per osservare nel dettaglio la superficie.Ha funzionato per circa 17 ore, la durata delle sue batterie non ricaricabili (niente pannelli solari) e si è spostato una volta rotolando per fare misure in […]