La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Abbiamo visto nella curiosità del febbraio 2009 (Come trovo un buco nero) come trovare un possibile buco nero nella nostra galassia: basta cercare una forte sorgente X, la cui radiazione proviene dalla materia di una stella compagna che cade nel buco nero. Però anche le stelle di neutroni fanno lo stesso effetto sulle stelle compagne (vedi curiosità del giugno 2010: Lei è in arresto! Qualsiasi cosa dica potrà essere usata contro di lei …) e se non si vedono effetti di superficie come faccio a sapere se ho a che fare con un buco nero?Uso un telescopio ottico, possibilmente di grandi dimensioni.Essenzialmente il puntino di luce che vedo è la stella compagna, che sta ruotando intorno al baricentro del sistema binario.Una stella emette luce visibile a tutte le lunghezze d’onda, ma alcune di queste sono oscurate dall’assorbimento da parte del gas della stella, formando quelle che si chiamano righe di assorbimento.Conosciamo bene la lunghezza d’onda di queste righe, ma se la stella orbita ci saranno dei momenti in cui si sta muovendo verso di noi e degli altri in cui si sta allontanando.Per effetto Doppler, lo stesso che ci fa sentire la sirena di un’autoambulanza cambiare frequenza quando ci passa vicino e smette di avvicinarsi a noi cominciando ad allontanarsi, le lunghezze d’onda di queste righe si spostano in su e in giù seguendo l’orbita della stella. Misurando il tempo che passa fra due minimi (o due massimi) scopriamo il periodo dell’orbita del sistema.Misurando di quanto le lunghezze d’onda si spostano abbiamo un’altra informazione. Mettendo insieme questi due numeri abbiamo una quantità, chiamata “funzione di massa” che dipende da tre valori: le masse delle due stelle del sistema binario (una delle quali, il buco nero, non si vede) e l’inclinazione dell’orbita rispetto a noi (0 gradi se vediamo il sistema dall’alto cioè il sistema si trova in un piano perpendicolare alla nostra linea di vista e 90 gradi se lo […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini C’è del materiale organico su Cerere, il più grande asteroide della fascia che si trova tra Marte e Giove.La scoperta è stata annunciata pochi giorni fa, in un articolo sulla rivista Science. La prima autrice è una italiana, Cristina De Sanctis, che lavora all’istituto INAF/IAPS di Roma.Lo stesso istituto che ha costruito, insieme ad ASI, lo strumento (VIR) che ha realizzato le osservazioni che hanno portato alla scoperta.Lo strumento è a bordo della sonda Dawn, lanciata nel settembre 2007 e che ha raggiunto Cerere nel marzo 2015.Ovviamente non abbiamo scoperto delle forme di vita, ma solo le prime molecole necessarie al lungo percorso per produrre degli organismi viventi.Si tratta di composti di carbonio e idrogeno che vengono chiamati tecnicamente composti alifatici (praticamente degli idrocarburi dove non sono presenti delle strutture cicliche come il benzene).Ma è la prima volta che si vedono così chiaramente in un corpo celeste oltre la Terra … Questi composti sono presenti su un’area di circa 1000 km quadrati, nei pressi di un cratere chiamato Ernutet (che si vede nel rettangolo nero nella mappa in Figura 2, nella Figura 3 si vede in dettaglio la distribuzione del materiale organico).Per fare un paragone, l’area in questione è all’incirca grande come tre volte Roma.Cerere era già balzato agli onori delle cronache circa un anno fa, quando la stessa sonda Dawn aveva scoperto delle strane macchie bianche in alcuni crateri (Figura 4).Si era pensato al ghiaccio d’acqua, ma poi si è scoperto che le macchie erano dovute a sali di Magnesio, che usiamo anche noi come lassativi. Che su Cerere ci sia contemporaneamente del materiale organico e una purga è una curiosa e ridicola coincidenza…Anche la storia della scoperta di Cerere è curiosa, e vale la pena di essere raccontata.Tutto comincia il primo gennaio 1801.In quella notte, invece di festeggiare, l’abate Giuseppe Piazzi, direttore dell’Osservatorio di Palermo da lui fondato, si mette al telescopio e vede un oggetto che prima non c’era, e che sembra muoversi.Lo osserva anche nelle notti seguenti, ma poi purtroppo l’oggetto non […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Da decenni l’uomo sta esplorando il sistema solare con delle sonde. La prima a raggiungere un altro corpo celeste è stata Luna 2 nel 1959, seguita dal passaggio di Mariner 2 nel 1962 a 35.000 km dalla superficie di Venere.Più recentemente abbiamo Rosetta che ha raggiunto la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, Dawn che ci ha mostrato il pianeta nano Vesta e New Horizons che si è spinto fino a Plutone.Ma come fanno trovare la rotta e a arrivare a destinazione con la precisione necessaria?Plutone è un “sassolino” di 1200 km di raggio che quando è più vicino alla terra è a 4.425 milioni di chilometri dal sole, trenta volta la distanza dal sole della terra, ovvero trenta Unità Astronomiche.Il metodo standard per navigare nello spazio è di combinare informazioni radio ottenute dalle stazioni a terra e immagini ottenute dalla sonda quando si avvicina a altri corpi celesti.Le stazioni radio che tracciano le sonde possono misurare la distanza e la velocità di allontanamento con buona precisione, ma non altrettanto precise sono la posizione e la velocità “laterali“.Il meglio che si può raggiungere con misure di tipo interferometrico è una precisione sulla posizione di circa 4 chilometri per Unità Astronomica.Questo significa che alla distanza di Plutone la precisione è di circa 200 km.Una volta che la sonda è in loco si può correggere con le immagini.Le limitazioni di questo metodo sono abbastanza evidenti: la precisione diminuisce più distanti si è, il tempo di trasmissione dei dati a terra è molto lungo quando si è molto distanti e, molto importante se si pensa a missioni umane in futuro, la misura dipende dalla comunicazione con la terra. In altre parole, non sono io che misuro la mia posizione, sono i miei colleghi a terra che me la dicono. Vi sentireste sicuri con questo sistema?Quello che ci vorrebbe è un metodo utilizzabile direttamente a bordo.Si sono provati approcci basati su osservazioni della posizione del sole e dei pianeti, ma non sono abbastanza precisi.Quando giriamo in auto non abbiamo bisogno di chiamare casa per chiedere che ci dicano dove siamo, ormai quasi tutti […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini È già da un bel po’ di tempo che qualcuno pensa che le scie biancastre lasciate dagli aerei che volano a quote abbastanze alte siano il prodotto di oscure macchinazioni.Queste scie sarebbero infatti formate da materiali velenosi, o comunque dannosi per l’uomo, e sarebbero lasciate fuoriuscire dagli aerei di proposito, per eseguire un complotto a nostra insaputa, e contro di noi.C’è qualcosa di vero? No, non c’è. Il fenomeno è del tutto banale, come quando mangiamo un piatto di pasta o dello zucchero per alimentarci.Innanzitutto: che tipo di carburante usano gli aerei? Una volta usavano benzina “avio“, ma i moderni jet usano il cherosene, che rispetto alla benzina avio produce il 10 per cento in più di energia a parità di peso, e costa un 15 per cento in meno.Ma non fa molta differenza … cherosene e benzina sono derivati dal petrolio, e sono idrocarburi.Idro … la parola richiama l’acqua, non è vero? E carburo richiama il carbonio … E di cosa è fatta l’acqua? Di idrogeno e di ossigeno.Quindi tutti gli idrocarburi sono fatti di Carbonio, di Idrogeno e di Ossigeno. Talvolta manca l’ossigeno, e quindi abbiamo delle molecole fatte solo da idrogeno e carbonio. Il metano che ci da’ una mano, per esempio, è fatto da un atomo di carbonio legato a 4 atomi di idrogeno. Per abbreviare, possiamo anche scrivere CH4 dove “C” è il simbolo del carbonio e “H” quello dell’idrogeno.D’altra parte sappiamo tutti che la formula dell’acqua è “H2O“: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Un’altra sostanza di cui scommetto conoscete la formula è l’anidride carbonica: CO2. Cioè un atomo di carbonio legato a due atomi di ossigeno.E da dove vengono gli idrocarburi? Dal petrolio. E il petrolio da dove viene? Dalle piante preistoriche, e in genere da materiale organico che si è decomposto …Non è un mistero, e c’è una ragione. Cosa mangiamo per ricavare l’energia?Pasta dolci pizza? Carne? Beh, la carne la usiamo soprattutto […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Nella curiosità di dicembre 2012 abbiamo parlato del diagramma di Hertzsprung-Russell (H-R) e abbiamo accennato al fatto che le stelle più massicce restano sulla sequenza principale per milioni di anni, mentre le più leggere vivono miliardi di anni.Ma come facciamo a misurare l’età di una stella?Prendendo una stella a caso in cielo la cosa è difficile, anche se possiamo dire che una stella blu può avere al più una vita in termini di milioni di anni e una rossa di miliardi di anni.Questo non esclude che la stella rossa abbia un’età di pochi milioni di anni (anche i centenari sono stati bambini, mentre una farfalla di ottant’anni non la si può proprio trovare).Il trucco è semplice: andare a guardare negli ammassi stellari.Un ammasso di stelle, che sia di migliaia di oggetti come un ammasso aperto o di milioni di stelle nel caso di un ammasso globulare, contiene oggetti che sono nati più o meno nello stesso periodo. Quindi alla nascita, tutte le stelle neonate nell’ammasso erano posizionate sulla sequenza principale (vedi Fig. 2) del diagramma H-R (vedi curiosità di dicembre 2012).Con il passare del tempo, le prime stelle a lasciare la sequenza sono quelle massicce, quindi quelle blu.Poi quelle un po’ meno massicce e così via.Perchè una stellina rossa lasci la sequenza principale per passare a fasi più avanzate della sua vita ci voglioni miliardi di anni.Quindi in un ammasso stellare la sequenza principale si estende a sinistra solo fino a un certo punto, tutte le stelle più blu di un certo valore l’hanno lasciata. La posizione di questo punto indica l’età dell’ammasso.Ovviamente per fare questa stima ci vogliono tante stelle, tutte più o meno nate insieme e tutte più o meno alla stessa distanza, proprio il caso di un ammasso stellare. Se ne conoscono di giovani, tutti conoscono le Pleiadi, un ammasso che contiene molte più stelle delle sette che formano il noto asterismo, più di mille. E la loro età? Più sopra ho spiegato come distinguere un ammasso […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini L’oro dei re Magi, l’oro che è per sempre, l’oro di re Mida, l’oro bene rifugio, l’oro dei gioielli, l’oro della maschera di Tutankhamon, l’oro di Eldorado, l’oro colato, l’oro dei ponti d’oro, l’oro delle medaglie, l’oro dei tempi d’oro, l’oro dei denti, l’oro del silenzio, l’oro dei sogni, l’oro delle nozze …Ma da dove viene l’oro?L’oro è l’elemento di numero atomico 79, e di peso atomico 197.Questo vuol dire che nel suo nucleo ci sono 79 protoni e ben 118 neutroni.Appartiene a quella famiglia di elementi pesanti, più pesanti del ferro, che non hanno origine nell’interno delle stelle “normali”, seppur grosse.Ma andiamo con ordine: per creare un elemento, bisogna mettere insieme i vari pezzi di cui è fatto, cioè protoni e neutroni.I neutroni sono neutri, come dice il loro nome, ma i protoni hanno carica positiva.E quando avviciniamo cariche uguali, queste si respingono … Se in natura ci fosse solo la forza elettromagnetica e la gravità, come faremmo a mettere insieme più protoni per fare un nucleo più pesante dell’idrogeno, che di protoni ne ha uno solo?Non potremmo … E infatti esiste un’altra forza, più forte della forza elettrica, che opera solo quando due protoni sono vicinissimi, quasi si toccano, e che riesce a farli stare insieme.Non a caso si chiama forza forte (più forte della forza elettrica).Dato che opera a breve distanze, dobbiamo riuscire ad avvicinare due protoni a distanze piccolissime.Ci riusciamo se i due protoni sono “sparati” l’uno verso l’altro ad una velocità sufficiente.È per questo che la fusione dell’idrogeno può avvenire solo se la temperatura, all’interno delle stelle, è abbastanza grande, maggiore di una decina di milioni di gradi. Infatti, più grande è la temperatura, più grande è la velocità dei nuclei.È questo che succede nel nucleo del Sole che produce continuamente l’elio a partire dal puro idrogeno.Ma una volta che abbiamo fatto l’elio? Come facciamo a fare nuclei con più protoni? Ripetiamo il processo, ma stavolta è più difficile avvicinare un protone ad un nucleo di elio, perchè l’elio di protoni ne ha due e respinge più vigorosamente altre cariche positive.E quindi bisogna […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Nella curiosità del mese di dicembre 2015 abbiamo parlato di sorgenti X ultra-luminose (ULX) e della scoperta di una pulsar in una di queste.Non solo è possibile per un buco nero emettere ben oltre i limiti posti dalle teorie attuali, ma persino una stella di neutroni, così “leggera” rispetto a un buco nero, può farlo. Ovviamente la prima scoperta di una pulsazione in una ULX ha spronato ricercatori di tutto il mondo a cercare altri segnali dello stesso tipo.Negli ultimi giorni ci sono stati degli sviluppi.Da qualche anno una collaborazione di ricercatori italiani, inglesi e tedeschi, sotto guida di Andrea De Luca all’istituto INAF/IASF di Milano e finanziata dal Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea, sta analizzando sistematicamente tutti i dati ottenuti con il satellite europeo per astronomia X XMM-Newton.Un aspetto di questa analisi è la ricerca di segnali periodici in tutte le sorgenti rivelate da XMM-Newton.Proprio questa settimana sono stati presentati due lavori, entrambi guidati da Gianluca Israel dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, con la scoperta di due nuovi casi di ULX pulsanti.Il primo è una sorgente X nella galassia NGC 7793, che si trova a circa tredici milioni di anni luce da noi. Il periodo di rotazione. della stella di neutroni è di 0.42 secondi.Sulla base di due osservazioni a distanza di un anno si è visto che la rotazione accelera al ritmo di 0.04 miliardesimi di secondo al secondo. Cosa significa? Che ogni secondo la stella di neutroni ci mette 0.04 miliardesimi di secondo di meno a ruotare su se stessa.Sembra un numero molto piccolo ma, visto che un anno terrestre conta circa 30 milioni di secondi, la pulsar accelera di 1.2 millisecondi all’anno, una quantità non trascurabile.Si riesce a spiegare la alta luminosità solo se l’emissione è emessa preferenzialmente in una direzione e se il campo magnetico della stella di neutroni non ha una struttura semplice a “cipolla” come quella di una barretta magnetizzata, ma più complesso. Il secondo è un’altra sorgente X […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Più vicino di così non si può. È rimarrà per sempre il pianeta extrasolare più vicino.Si chiama Proxima Centauri b, dal nome della stella attorno alla quale ruota. Lo dice il suo stesso nome: “Proxima” è la stella più vicina al Sole, tanto che la luce impiega “appena” 4 anni e 2 mesi per compiere la traversata.Astronomi europei, usando i telescopi dell’European Southern Observatory (ESO) in Cile, sono riusciti ad osservare dei piccoli movimenti regolari di Proxima Centauri, come se la stella fosse disturbata dalla presenza di una massa che le girava intorno. Come se ballasse un valzer con un pianeta vicino.Poca cosa, la velocità con cui Proxima balla è di appena 1.4 metri al secondo, vale a dire la stessa andatura di quando facciamo una passeggiata rilassata.Ma sono giri di valzer che non finiscono mai, e dopo un lavoro paziente, durato parecchi anni, gli astronomi hanno raggiunto una sicurezza granitica: il compagno di ballo della stella è un pianeta che le ruota ad una distanza di “appena” 7.5 milioni di km (un ventesimo della distanza tra il Sole e la Terra, e meno di un decimo della distanza tra il Sole e Mercurio). Un anno su quel pianeta durerebbe appena 11 giorni e 4 ore: per fare un anno terrestre, il pianeta deve ruotare 33 volte attorno alla sua stella …Non sappiamo ancora quanto sia pesante esattamente, ma sappiamo che deve essere almeno il 30 per cento più pesante della Terra. Non sappiamo nemmeno quanto è grande, per cui non sappiamo quant’è la gravità sulla sua superficie, ma se le sue dimensioni fossero un pizzico più grandi di quelle della Terra, allora un’astronauta su quel pianeta avrebbe lo stesso peso che ha qui sulla Terra.C’è vita? Non lo sappiamo. C’è un’atmosfera respirabile? Non lo sappiamo. C’è l’acqua liquida? Forse.Quello che già sappiamo, ed è già straordinario, è che […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Dopo anni di preparazione, il 17 febbraio 2016 l’agenzia spaziale giapponese (JAXA) ha messo in orbita un importante satellite per astronomia in raggi X.Denominato ASTRO-H (l’ottavo di una sequenza di satelliti astronomici), dopo il lancio avvenuto con successo è stato battezzato Hitomi (in italiano pupilla).I nomi ai satelliti si danno sempre dopo il lancio, per evitare di “battezzare” qualcosa che poi potrebbe non arrivare in orbita.In questo caso il lancio dal centro spaziale di Tanegashima era stato perfetto e tutto funzionava bene, in marzo si erano cominciate le prime osservazioni.L’importanza di questa missione stava in uno strumento detto calorimetro, che permette osservazioni estremamente dettagliate della distribuzione spettrale dei raggi X.Perchè i verbi al passato? Purtroppo Hitomi non è più operativo, dopo pochissime osservazioni.Anzi, possiamo dire che Hitomi proprio non è più, a causa di una sequenza di eventi che ha portato alla sua vera propria disintegrazione.Vediamo cosa è successo. La sequenza di eventi è un po’ lunga, ma sembra una storia di fantascienza. Il 25 marzo Hitomi iniziava un nuovo puntamento.Dopo un’osservazione della nebulosa del Granchio (che contiene una pulsar) cambiava puntamento per osservare il nucleo galattico attivo Markarian 205.Per ripuntare il sistema deve ovviamente sapere dove sta puntando e dove deve andare a puntare.A questo scopo ci sono dei piccoli telescopi, chiamati “star tracker” che usano le stelle per l’orientamento, come facevano i naviganti nei secoli passati, con la differenza che i telescopi hanno un campo di vista piccolo e vedono piccole zone del cielo, che devono confrontare con dei cataloghi.Poi per girare il satellite vengono usate delle ruote: nello spazio se qualcosa ruota in una direzione, ci deve essere qualcos’altro che ruota nella direzione opposta: se una ruota gira in senso orario, il resto del satellite deve girare in senti antiorario per compensare. Azione e reazione.In questo caso, il software per la rilevazione delle stelle nello “star tracker” aveva una soglia troppo alta, problema conosciuto che si pensava di […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Qualche settimana fa ero a Roma, a cenare con una collega in un ristorantino che aveva appena cambiato gestione, ed eravamo gli unici clienti. Così abbiamo cominciato a parlare con il ristoratore, che ci ha detto di credere fermamente che lo sbarco sulla Luna non c’è mai stato, ed è stata tutta una messinscena degli americani per vincere “facilmente” la guerra della conquista dello spazio con i russi. Ed è incredibile constatare quanta gente non creda allo sbarco dell’uomo sulla Luna: è una delle teorie complottiste più diffuse, insieme alle scie chimiche degli aeroplani.Abbiamo cominciato a discutere, ricordando la notte del 20 luglio 1969, quando Neil Armstrong ha toccato per la prima volta il suolo della Luna, dicendo la frase leggendaria: “That’s one small step for a man, one giant leap for mankind” [“Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l’umanità”). Era l’undicesima missione del programma Apollo, che ha portato sulla Luna il LEM (modulo lunare, la cui base è ancora lì), e tra le altre cose uno specchio per misurare la distanza Terra-Luna con grandissima precisione.Al ritorno, gli astronauti hanno portato sulla Terra 22 kg di pietre lunari, che hanno una composizione leggermente diversa dalle pietre terrestri, e sono più vecchie, fino a 4.5 miliardi di anni.Tra l’altro, è stato scoperto un nuovo tipo di minerale, l’Armalcolite, chiamato così dalle iniziali dei tre astronauti Armstrong, Aldrin e Collins dell’Apollo 11. Durante la permanenza sulla Luna, gli astronauti dell’Apollo 15 hanno fatto un esperimento impossibile sulla Terra: hanno lasciato cadere dalla stessa altezza un martello e una piuma, per verificare che cadessero con la stessa velocità e accelerazione. E così è stato.Non solo, ma si può anche notare come l’accelerazione di gravità sulla Luna sia minore … La spesa totale del programma Apollo fu di 25.4 miliardi di dollari del 1973. Una cifra enorme, ma comunque solo un terzo di quello che gli Stati Uniti spendevano […]