Maria Rosa Panzera

Maria Rosa Panzera

Astrocuriosità | febbraio 2015 – Aurora

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Il nome Aurora sta balzando ai primi posti della classifica dei nomi più comuni dati alle neonate negli ultimi anni. Deriva dal latino e significa “brillare, far luce“. E infatti l’aurora è la luminosità rosso porpora del cielo prima dell’alba. Ma ne esiste un’altra, l’aurora boreale o australe, che è uno degli spettacoli più affascinanti che la natura può offrire.Peccato che queste aurore si vedano solo alle alte latitudini, vicino e oltre i circoli polari artici. Sembrano tende di luce che vengono mosse da una mano invisibile, sipari magici che introducono ad un incantesimo. Nessuno rimane indifferente al loro fascino. Ci vogliono tre ingredienti per generare le aurore: un’atmosfera, delle particelle cariche ed energetiche, e del campo magnetico. La nostra Terra possiede atmosfera e campo magnetico, mentre le particelle cariche ce le mette il nostro Sole, per mezzo del vento solare.Gli elettroni e i protoni del vento solare arrivano nei pressi della Terra dopo aver attraversato i 150 milioni di km che ci separano dal Sole (lo fanno in pochi giorni) e incontrano il campo magnetico della Terra.Sono particelle cariche, che sono obbligate a seguire le linee di campo magnetico, che convoglia queste particelle verso i poli magnetici della Terra, non molto distanti dal polo Nord e dal polo Sud. Via via che si avvicinano, gli elettroni energetici incontrano un’atmosfera sempre più densa, e verso i 1000 km di altezza cominciano a scontrarsi con gli atomi dell’atmosfera.Questi vengono eccitati, e dopo poco emettono luce di diverso colore a seconda del tipo di atomo. La nostra atmosfera è fatta per il 78% di azoto e per il 21% di ossigeno, e sono proprio questi due elementi a produrre le aurore di diverso colore: rosso e verde l’ossigeno, e blu e magenta l’azoto. Quando sul Sole si hanno forti brillamenti e in generale l’attività è più intensa le aurore diventano più brillanti e forti.Dato che il Sole compie un ciclo di attività che dura 11 anni, ci si può aspettare che al picco di attività la probabilità di vedere un’aurora sia maggiore.Questo vi può aiutare a programmare il vostro viaggio in Lapponia, Islanda o in Canada, per vedere questo spettacolo. I […]

Astrocuriosità | gennaio 2015 – La banda dei quattro

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Negli ultimi anni il numero di pianeti extrasolari, ovvero che orbitano intorno a una stella che non è il nostro sole, è aumentato vertiginosamente.Attualmente ne conosciamo quasi 2000.La grande maggioranza di questi è stata scoperta con metodi indiretti.Non è semplice rivelare direttamente la radiazione proveniente da un pianeta, dato che le distanze in gioco sono grandi e quindi il pianeta appare molto vicino alla stella, molto più luminosa.I metodi indiretti sono molti e vanno dalla misura della occultazione della luce della stella alle variazioni Doppler orbitali a metodi più esotici (e raramente usati) come le deviazioni delle pulsazioni di una pulsar intorno a cui ruotano dei pianeti.Per alcuni pianeti, molto massicci e molto lontani dalla stella, è stato però possibile osservare il sistema direttamente come immagine e i risultati sono visivamente molto spettacolari.Stiamo parlando di meno di 20 pianeti, con masse che vanno da 2 a più di 10 volte quella di Giove.Il sistema di gran lunga più spettacolare è quello della stella HR 8799 nella costellazione di Pegaso nell’emisfero nord (si tratta della stella numero 8799 del Catalogo di Yale di Stelle Brillanti, che contiene tutte le circa 9000 stelle visibili a occhio nudo). Si tratta di una giovane stella a 130 anni luce dalla terra, con una magnitudine visuale al limite dell’osservabilità a occhio nudo e una massa una volta e mezza quella del sole.Intorno a HR 8799 sono stati osservati DIRETTAMENTE ben quattro pianeti, chiamati HR 8799 a,b,c,d.La scoperta risale al 2008, quando tre dei quattro pianeti sono stati scoperti con osservazioni in banda infrarossa fatte ai telescopi Keck e Gemini alle Hawaii.L’anno seguente è stato scoperto anche il quarto pianeta.Il giorno dell’epifania del 2015, ieri per chi scrive, sono state presentate nuove immagini e spettri ottenuti con uno strumento dedicato chiamato GPI (Gemini Planet Imager), che purtroppo mostra solo tre pianeti in quando il pianeta b è troppo lontano dalla stella per entrare nel campo di vista. Non si tratta ovviamente di pianeti di tipo terrestre, che sarebbero troppo […]

Astrocuriosità | dicembre 2014 – Qual è il motore più potente della natura?

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini È solo da circa 70 anni che sappiamo come funzionano le stelle. C’è voluta la conoscenza del nucleo atomico per capire che i nuclei degli atomi di idrogeno, fondendosi per formare un nucleo di elio, sprigionavano una quantità di energia colossale.Circa l’8 per mille della massa di quattro protoni viene trasformata in energia (secondo la formula più famosa del mondo: E=mc2). Poi, agli inizi degli anni 60, veniva scoperta una sorgente, chiamata 3C 273, che sulle lastre fotografiche sembrava una stella, e che produceva una intensa emissione radio, che variava sui tempi scala di un mese. Quando si scoprì la sua distanza, si rimase increduli.3C 273 si trova infatti a 2.5 miliardi di anni luce da noi.Per essere così ben visibile (è di dodicesima magnitudine) deve essere potentissima, più di qualsiasi altra cosa vista prima.E la variabilità indicava che la regione emittente doveva essere più piccola di un mese luce. Come si fa a produrre una potenza così grande in un volume così piccolo?Le reazioni termonucleari non bastano. Deve esistere un altro motore.Passò solo qualche anno, e poi il mistero fu risolto. Il motore capace di produrre queste potenze mirabolanti è in fondo il più semplice di tutti, basato sulla gravità.Però, per raggiungere i livelli necessari, la gravità deve essere prodotta da un buco nero pesante come un miliardo di soli.La materia intorno al buco nero ne viene attratta, e prima di caderci sopra viene compressa, si scalda, ed emette.In questo modo circa il 10 per cento della massa che cade viene trasformata in energia (vedi curiosità del novembre 2013). È questo il motore più potente della Natura? Sembra di no. C’è un altro fenomeno spettacolare, e potente.Su dieci buchi neri supermassicci che accrescono materia, ce n’è uno che, oltre ad accrescere, riesce ad espellere materia in due getti antiparalleli. La materia che fluisce in questi getti viene accelerata a velocità molto prossime quelle della luce (vedi curiosità di marzo 2010). Come ci riesca, non è ancora chiaro, ma non c’è dubbio che lo […]

Astrocuriosità | novembre 2014 – Nane e cataclismi

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Nella nostra galassia conosciamo più di 1500 sistemi binari noti come “variabili cataclismiche“. Si tratta di stelle doppie in cui una componente è una stella di tardo tipo spettrale (cioè una stella grande come il sole o più piccola e fredda) e l’altra componente è una nana bianca. La nana bianca è il risultato della fine della vita di una stella non molto massiccia, come il nostro sole, che non esploderà in una supernova, ma fra qualche miliardo di anni si trasformerà in un oggetto molto caldo e piccolo, della dimensione della terra, appunto una nana bianca. In una variabile cataclismica (CV, dall’inglese Cataclysmic Variable) le due stelle sono così vicine, con un periodo orbitale al massimo di poche ore, ma che può essere anche meno, che la gravità della nana bianca distorce l’altra stella strappandole materia. La materia “rubata” cade sulla nana bianca (Fig. 1). Esistono tre tipi principali di CV, a seconda dell’intensità del campo magnetico della nana bianca.Concentriamoci sul caso più semplice, quello in cui questo campo magnetico non c’è o è molto debole così da essere ininfluente. La materia, dato che il sistema binario è in rotazione, non cade direttamente sulla nana bianca, ma forma un disco di accrescimento [vedi curiosità di luglio 2012: Attento a non mettere troppo idrogeno! a cura di Tomaso Belloni], dove a poco a poco il gas scende fino a arrivare sulla superficie della nana bianca. La struttura di questo disco è molto complicata, ma sotto certe condizioni questo disco è instabile.Questo significa che in alcune CV per un periodo lungo, settimane o mesi, la materia si accumula e non raggiunge la nana bianca, poi improvvisamente le condizioni cambiano e il gas arriva sulla superficie della nana, rendendo il disco e la superficie stessa molto più luminosi.Questa fase brillante dura per giorni o settimane, fino a spegnersi e a tornare alla normalità. Da terra vediamo un’improvviso aumento della luminosità del sistema, seguito da un ritorno più lento […]

Astrocuriosità | ottobre 2014 – Abitare a Laniakea

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini In hawaiano, Laniakea significa “Paradiso immenso” (da lani, paradiso, e akea, immensamente grande, non misurabile).È il nome che è stato dato alla nostra parte di Universo, dove abitano la Terra, il sistema solare, la nostra Galassia, il nostro gruppo di galassie. Gli inquilini di questo quartiere di Universo sono più di dieci milioni di miliardi di stelle, che vivono in circa centomila galassie come la nostra.Per non parlare della materia che non ha formato stelle, ed è ancora sottoforma di gas o dell’elusiva materia oscura.E questo è solo un quartiere dell’Universo, che pensiamo contenga almeno un milione di quartieri come Laniakea.Per noi però è il più bello, è casa nostra, e gli abbiamo dato un nome bellissimo.È anche un quartiere immenso, tanto che la luce deve viaggiare per 520 milioni di anni per andare da una parte all’altra.Ma come facciamo a sapere che Laniakea è la nostra casa, e come facciamo a definirne i confini?Questa è la novità, dovuta ad un nuovo lavoro di un gruppo di ricercatori guidati da Brent Tully dell’Università delle Hawaii.Si basa non sul catalogare le posizioni delle galassie nel cielo, e misurarne la distanza da noi, ma sul misurare con precisione la loro velocità (detta velocità peculiare) rispetto al moto globale di espansione dell’Universo.Le galassie, infatti, si muovono in maniera complicata. Prima di tutto si allontanano le une dalle altre, trascinate dall’espansione dell’Universo nel suo insieme. Quelle più vicine, però, risentono della rispettiva forza di gravità e si attraggono così da controbilanciare l’espansione, fino ad arrivare a scontrarsi.Per esempio, tra 4 miliardi di anni, la Via Lattea si scontrerà con la galassia di Andromeda (vedi curiosità del Febbraio 2013).In generale, quindi, la forza di gravità tra le galassie tende a frenare l’espansione globale.Questo succede perché l’Universo mostra picchi e valli, zone con tante galassie e zone quasi vuote.La conseguenza è che, come per una valanga sul fianco di una montagna, le galassie tendono a “cadere” verso le zone dove ci sono maggiori concentrazioni di altre galassie, o in generale di massa, quelli che chiamiamo super-ammassi di […]

Astrocuriosità | settembre 2014 – Aspettando Rosetta

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Difficile che nei giorni scorsi a qualcuno sia sfuggita la notizia dell’arrivo della sonda Rosetta alla sua cometa dal melodioso nome di 67P/Churyumov-Gerasimenko (6 agosto – distanza di 100 km dalla cometa vedi la notizia su MediaInaf). La forma della cometa, definita “paperetta da vasca da bagno” è davvero incredibile e presto arriveranno nuove informazioni, specialmente quando la sonda Philae tenterà l’atterraggio. In questa curiosità però vorrei ricordare il primo incontro di una sonda spaziale con una cometa.Nel 1986, puntuale, la più famosa delle comete, quella di Halley, è tornata nella zona interna del sistema solare ed è passata al perielio (il punto della sua orbita più vicino al sole). Dato che il suo periodo orbitale è di 75.3 anni, il passaggio precedente era stato nel 1910, quando c’erano solo telescopi ottici sulla terra, mentre il prossimo passaggio sarà nel 2061, un po’ lontano per parlarne ora. Però nel 1986, anno in cui la posizione relativa terra-sole-cometa ha portato alle peggiori condizioni per osservarla da terra, la tecnologia delle sonde spaziali era già disponibile, per cui diverse sonde sono state programmate allo scopo, mentre altre osservazioni sono state fatte da sonde già esistenti, come ad esempio Pioneer 7 e Pioneer Venus Orbiter. Queste sonde hanno formato quella che è stata soprannominata “l’armata di Halley“. La sonda giapponese Suisei (“cometa” in giapponese) è arrivata a 151 mila km dalla cometa l’8 marzo 1986, aiutata nella sua navigazione da un’altra sonda giapponese, la Sakigake (“pioniere”). Le due sonde gemelle dell’ allora Unione Sovietica Vega 1 e 2 avevano incontrato il pianeta Venere e dopo aver sganciato ciascuna uno strumento con un pallone per entrare nell’atmosfera di Venere vennero dirottate verso la cometa di Halley. I loro dati hanno aiutato la sonda Giotto nel suo approccio. Vega 1 è arrivata a 8899 km dalla cometa, Vega 2 a 8030 km. Ultima in ordine di avvicinamento la sonda International Cometary Explorer (ICE) che verso la fine di marzo 1986 è passata tra il Sole e la cometa di Halley, avvicinandosi […]

Astrocuriosità | luglio 2014 – Getti cosmici

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini   Quasi tutte le galassie hanno, al loro centro, un buco nero supermassivo, di taglia extra large: da un milione ad un miliardo di masse solari (vedi curiosità di Novembre 2013).Sono diventati così grossi perché hanno ingoiato un quantitativo corrispondente di gas, nel corso di qualche centinaio di milioni di anni.Alcuni di questo buchi neri non hanno ancora finito di crescere, e continuano a ingoiare materia, la scaldano e le fanno emettere una quantità di luce prodigiosa, più di quella prodotta da tutte le stelle di una intera galassia.E non è tutto: circa il 10 per cento di questi buchi neri, oltre a ingoiare materia, sono capaci di espellerne una parte, per formare due getti contrapposti (antiparalleli), che partono dalle immediate vicinanze del buco nero, e si distendono anche per milioni di anni luce.Riescono quindi ad uscire, e di molto, dalla galassia che li ospita.Sono visibili sopratutto se li guardiamo nelle onde radio, con i radiotelescopi, che riescono a produrre delle mappe spettacolari, anche se recentemente otteniamo delle fotografie splendide anche nella luce visibile (grazie al telescopio spaziale Hubble) e perfino nei raggi X (con i telescopi a raggi X del satellite Chandra). Quello che colpisce è la struttura filiforme, leggermente a cono, di questi getti. Alcuni sono dritti come fusi: come è possibile che abbiano mantenuto la stessa direzione per un centinaio di milioni di anni, o forse più?Dentro al getto fluisce del plasma (cioè degli atomi che hanno perso i loro elettroni) estremamente caldo, che si muove a velocità maggiori del 99% della velocità della luce.Quindi, invece di cadere verso il buco nero, questo plasma se ne allontana, e lo fa quasi alla velocità della luce! Dire che abbiamo capito il perchè sarebbe una bugia, diciamo che abbiamo qualche idea, ma non ancora conclusiva …Data l’alta velocità del plasma, la luce prodotta è altamente direzionale: in pratica quasi tutta la luce è prodotta nella direzione di moto […]

Astrocuriosità | giugno 2014 – Svegliatemi quando siamo arrivati

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni  Nel 1986, più di dieci anni fa, in occasione del passaggio della cometa di Halley, diverse sonde sono state lanciate per osservarla.Quella principale era Giotto, una missione della Agenzia Spaziale Europea (ESA), che ci ha mandato le prime immagini ravvicinate del nucleo di una cometa.I fantastici risultati di Giotto hanno spinto ESA a progettare una nuova missione cometaria. Il 2 marzo 2004 è stata lanciata la sonda Rosetta (che prende il nome dalla famosta stele di Rosetta, che ha permesso di decifrare la scrittura geroglifica degli antichi Egizi) con destinazione la cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko (non tutte le comete hanno dei bei nomi come Halley: questa è stata scoperta nel 1969 dagli astronomi Klim Ivanovych Churyumov e Svetlana Ivanova Gerasimenko). Si tratta di una cometa con un periodo orbitale di circa sei anni e mezzo. L’arrivo alla cometa è previsto dopo un viaggio di circa 10 anni, nell’agosto di quest’anno, quando Rosetta entrerà in orbita a 200km dalla cometa. In novembre il modulo Philae (dal nome di un obelisco con un’altra iscrizione fondamentale per la comprensione dei geroglifici) verrà sganciato e atterrerà sulla superficie della cometa, agganciandosi con degli arpioni.Aspettiamoci delle immagini spettacolari. Raggiungere la cometa richiede un vaggio di dieci anni e anche piuttosto complicato.Per raggiungere la velocità richiesta, Rosetta è tornata tre volte vicino alla terra per sfruttare il campo gravitazionale del nostro pianeta e accelerare.Un altro passaggio simile l’ha fatto vicino a Marte.Però a parte queste peripezie planetarie dovute a motivi di navigazione, non è rimasta con le mani in mano. Nel settembre del 2008 è passata a 800 km dall’asteroide 2867 Šteins (un sassolino, poco più di 5 km di diametro) e nel luglio del 2010 a 3000 km dall’asteroide 21 Lutetia (di 100 km di diametro, non un sassolino). Non un momento libero … fino a 21 Lutetia. Poi dal 2011 fino a gennaio di quest’anno non c’era niente da fare e la sonda è stata messa in “ibernazione da spazio profondo”, espressione che suggerisce scenari da film di fantascienza.Il 20 gennaio, trattenendo il […]

Astrocuriosità | maggio 2014 – Scoperte le onde gravitazionali promordiali

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini   C’è un radiotelescopio, al polo Sud.È usato per l’esperimento BICEP2 (acronimo di Background Imaging of Cosmic Polarization, biceps ma con la “s” in inglese significa bicipite), attivo dal 2010. È posto al polo Sud perchè lì si hanno le condizioni osservative migliori, se si vuole scrutare il cielo ad alte frequenze radio (150 Giga Hertz). Il gruppo di BICEP2 però non guarda una sorgente specifica, ma il fondo di radiazione cosmica che è rimasto dall’epoca del Big Bang. È una radiazione che riempie tutto l’Universo, anche qui, sulla Terra, o su un’altra Galassia, o nel vuoto tra le galassie, dappertutto.In un cubetto di un cm di lato ci sono, in media, 400 di questi fotoni, fatti durante il Big Bang. Da allora vagano nell’Universo, e qualcuno di loro entra nelle antenne dei nostri radiotelescopi e viene rivelato.Questa radiazione è pressochè uguale in tutte le direzioni. Ci sono però delle differenze, piccole, ma importanti, di una parte su centomila …È come se abitassimo su un altopiano, a 1000 metri sul livello del mare, e i più grandi rilievi che possiamo incontrare fossero alti un centimetro. Ma scovare queste differenze, proibitive per la strumentazione anche solo di 30 anni fa, è diventato un gioco da ragazzi. Adesso la posta in gioco è più alta.Si vogliono trovare delle differenze di una parte su cento milioni.Per rimanere all’esempio di prima, è come se l’altipiano fosse completamente piatto, con una rugosità residua di un centesimo di millimetro.BICEP2 ce la fa. Questa precisione estrema è necessaria per scoprire se la radiazione di fondo è polarizzata, anche se di poco. Come la luce riflessa da uno stagno: se guardiamo lo stagno in controluce, il riflesso ci impedisce di vedere il fondo, ma se lo guardiamo con un paio di occhiali da sole Polaroid, il fondo appare …Gli occhiali Polaroid infatti fermano la luce riflessa, che è polarizzata, e lasciano passare la luce che proviene da sotto la superficie dello […]

Astrocuriosità | aprile 2014 – Tutto il cielo?

La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni  Per gli antichi il cielo era immutabile: c’erano le stelle fisse, per loro natura fisse, e c’erano i pianeti che viaggiavano nel cielo, ovviamente intorno alla terra, centro dell’Universo.Oggetti come le comete erano considerati da Aristotele fenomeni atmosferici, dato che le comete si spostavano nel cielo, ma non seguivano l’eclittica, il piano dei pianeti.L’osservazione di (rare) supernove metteva in difficoltà questa idea. Sappiamo ora che la terra non è al centro dell’Universo, che le stelle non sono fisse, ma anche che il cielo è tutt’altro che immutabile.Sono tantissimi gli oggetti che variano: non solo gli asteroidi e le comete che si spostano nel sistema solare, ma stelle variabili di tutti i tipi, stelle doppie, novae, supernovae, nuclei galattici, lampi gamma. È più difficile trovare oggetti che non varino per niente.Questo pone un problema: come faccio a trovare gli oggetti che variano?L’esempio più straordinario sono i lampi gamma, che possono durare anche molto meno di un secondo.La soluzione è avere telescopi a grande campo, l’equivalente del cercare le meteore a occhio nudo.Con un telescopio, ma anche con un binocolo, la porzione di cielo visibile (il campo di vista) è molto piccolo, quindi la probabilità che qualcosa vi succeda è ridotta. Sappiamo (vedi la curiosità di febbraio 2014) che nel caso dei lampi gamma il problema è stato risolto con rivelatori gamma a grande campo.Nel caso dell’astronomia in raggi X sono stati messi in orbita strumenti che fanno una passata per tutto il cielo ogni ora e mezza.Questi permettono di vedere se qualcosa cambia, anche se i fenomeni molto veloci come i lampi gamma o quelli troppo deboli per essere visti senza osservare a lungo vengono ovviamente persi. Di un radiotelescopio a grandissimo campo, LOFAR, abbiamo parlato in una curiosità precedente (vedi la curiosità di giugno 2011).Ma la cara vecchia astronomia ottica?Nell’ottico abbiamo la possibilità di costruire telescopi molto sensibili e programmi per l’osservazione di campi molto grandi vengono portati avanti.Ad esempio c’è la Catalina Real-Time Transient Survey […]