Maria Rosa Panzera

Maria Rosa Panzera

Astrocuriosità | maggio 2025 – Il modello di Ising: le basi fisiche delle reti neurali

La curiosità del mese a cura di Gianluigi Filippelli Il modello di Ising: le basi fisiche delle reti neuraliIl premio Nobel per la Fisica 2024 è stato assegnato a John Hopfield e Geoffrey Hinton “per le fondamentali scoperte e invenzioni che hanno permesso alle macchine di imparare attraverso reti neurali artificiali.” In particolare il fisico teorico John Hopfield, dopo aver modellizzato il comportamento cooperativo dell’emogoblina, ha lavorato su un modello che si è rivelato piuttosto versatile, applicandolo al funzionamento di una memoria. Il modello, che, come vedremo, fu sviluppato in un altro ambito, è ilcosiddetto modello di Ising. Catene di spinIl modello venne realizzato da Wilhelm Lenz, che successivamente lo assegnò al suo studente Ernst Ising, da cui il nome. Quest’ultimo, nel 1924, trovò una soluzione completa nel caso monodimensionale, descritta nella sua tesi. La struttura del modello, che riprende la matematica delle reti, è abbastanza semplice. Il modello matematico, infatti, descrive una catena di spin in cui troviamo un termine relativo all’interazione elettromagnetica tra due diversi spin e un termine che rappresenta una perturbazione esterna.Quest’ultima, nel caso più generale, varia da nodo a nodo. Nel caso monodimensionale, il modello non presenta alcuna transizione di fase, cosa che invece avviene a dimensioni superiori. Non siamo, però, quiper tracciare una storia completa del modello: basti sapere che ha avuto diverse applicazioni, anche fuori dalla fisica: nello studio del magnetismo, della dinamica dei gas, per descrivere, come “detto”, catene e reticoli di spin, nella descrizione delle transizioni di fase quantistiche, nelle neuroscienze e nello sviluppo delle reti neurali. Il modello di Hopfield e AmariIl primo uso in tal senso risale al 1972 quando l’ingegnere matematico Shun’ichi Amari modificò opportunamente il modello di Ising per descrivere il funzionamento di una memoria. Cosa che fece 10 anni più tardi anche Hopfield. Dal punto di […]

Astrocuriosità | aprile 2025 – Gregorio Ricci Curbastro

La curiosità del mese a cura di Luigi Foschini Quest’anno ricorre il centenario della morte di Gregorio Ricci Curbastro, il matematico italiano che ha inventato il calcolo tensoriale, che è la lingua usata da Albert Einstein per formulare la teoria della relatività generale. Nel 1912, Albert Einstein stava lavorando allo sviluppo della teoria della relatività generale, incontrando grandi difficoltà nella matematica. Chiese aiuto al suo amico Marcel Grossmann, un matematico, che gli suggerì la lettura di un articolo di Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita, pubblicato nel 1900 sui Matematische Annalen. Nella figura 1 è mostrata l’equazione del campo gravitazionale. Non è questa la sede per una spiegazione dettagliata dei simboli impiegati. Qui è sufficiente notare che la parte a sinistra dell’uguale indica la geometria dello spaziotempo, mentre quella a destra rappresenta la materia-energia. Il significato fisico dell’equazione si può riassumere nel fatto che la materia-energia opera sullo spaziotempo dicendogli come curvarsi, mentre lo spaziotempo opera sulla materia-energia dicendole come muoversi. Le lettere che hanno per pedici delle lettere greche sono degli enti matematici chiamati tensori, quelli inventati da Ricci Curbastro. In particolare, quello indicato con Rμν è il tensore di curvatura o tensore di Ricci (Curbastro), chiamato così proprio in onore del matematico italiano. I Ricci Curbastro sono un’antica e nobile famiglia originaria di Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna. Oggi, Lugo è un comune di poco più di 32000 abitanti, situato nella Bassa Romagna settentrionale, a circa 30 km da Ravenna, ~60 km da Bologna e ~20 km dal confine con la provincia di Ferrara. I Ricci Curbastro sono uno dei tanti rami della più ampia casata dei Ricci, di cui si hanno testimonianze sin dal XIII secolo. L’aggiunta di un secondo cognome iniziò a comparire nel XVI secolo per facilitare la suddivisione dei beni tra i […]

Astrocuriosità | marzo 2025 – Un neutrino campione del mondo

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Quasi esattamente due anni fa, il 13 febbraio del 2023, nelle profondità del mare nello stretto di Sicilia, al largo di Capo Passero, avvenne un evento straordinario. A quel tempo si stava costruendo uno dei più grandi strumenti per rivelare le particelle più elusive: i neutrini. Si era già costruito circa un decimo dell’intero strumento, ma i rivelatori presenti erano già in funzione e operativi. E improvvisamente segnalarono il passaggio proprio di un neutrino. E la cosa straordinaria fu che era il neutrino più energetico mai visto, circa trenta volte di più del più energetico visto fino a quel momento. Ma cosa sono i neutrini? Sono il prodotto del decadimento di particelle più grandi, come i neutroni. Infatti, furono ipotizzati proprio perché quando un neutrone cambia identità e diventa un protone, emette un elettrone, e produce dell’energia. Che però non è sufficiente a far quadrare i conti: l’energia totale misurata (energia di massa dell’elettrone più la sua energia di moto) non combaciava con la differenza di energia del neutrone e del protone: doveva esserci dell’altro. Niels Bohr si spinse a proporre che l’energia, in questo processo, non era conservata (addirittura!). Wolfang Pauli invece ipotizzò nel 1930 che l’energia mancante era sottoforma di una nuova particella, non ancora scoperta, che chiamò neutrone. Ma nel 1932 James Chadwick scoprì che quello che viene chiamato ancora oggi neutrone era associato a una particella neutra con una massa leggermente maggiore di quella di un protone, che non poteva essere la particella proposta da Pauli. La misteriosa particella di Pauli fu battezzata neutrino da Enrico Fermi, che elaborò anche la teoria che spiegava il decadimento del neutrone, ipotizzando l’esistenza di una nuova forza, la forza debole. Scrisse un articolo e lo inviò alla rivista Nature che […]

Astrocuriosità | febbraio 2025 – Raggi X allo specchio: I puntata – Riflessione totale

La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga Questa astrocuriosità, prima di una serie introduttiva all’ottica dei raggi X, è parte del progetto AOX (P.I. Marta Civitani, INAF-Brera) finanziato da ASI per lo sviluppo di ottiche monolitiche per raggi X in vetro sottile. I puntata: riflessione totale “Avere la vista a raggi X”. Avete già sentito questa espressione? Di solito fa riferimento alla capacità presunta che delle persone possano vedere oggetti nascosti da uno schermo, oppure all’interno del corpo umano. Capacità che i raggi X possiedono – come notò il loro scopritore W. Röntgen nel 1895 – in quanto riescono a penetrare la materia a bassa densità come i nostri tessuti molli, mentre vengono assorbiti dai nostri tessuti più densi come le ossa oppure dai metalli (Figura 1). A questo punto, l’ombra dei raggi X può impressionare una lastra fotografica (o, dagli anni ’90 in poi, una CCD) descrivendo con precisione sbalorditiva l’interno del nostro corpo in maniera totalmente indolore e non invasiva. Ed ecco fatta una radiografia. Ma (forse lo sospettavate) i nostri occhi non sono fisicamente in grado di percepire i raggi X direttamente. E nemmeno viviamo in un ambiente naturale dove i raggi X sono presenti ad alte dosi; per produrli, servono dei dispositivi artificiali nemmeno troppo complessi, come il classico tubo a raggi X che vediamo ogni volta che andiamo dal dentista (ma basta anche solo srotolare un nastro adesivo). Ci sarebbe anche la radioattività ambientale, ma è normalmente a livelli così bassi che ci viviamo tranquillamente in mezzo senza accorgercene. Ma anche così, i raggi X percorrono al massimo pochi metri in aria prima di ionizzare una molecola d’aria, ed esserne così assorbiti. Quindi, mi spiace per i supereroi e i millantatori di superpoteri inesistenti, ma di possedere una vista a raggi X proprio […]

Astrocuriosità | gennaio 2025 – Da Ultima Thule ad Arrokoth: sulle note del treno di Sir Brian May

La curiosità del mese a cura di Gianluigi Filippelli Il 19 gennaio del 2006 veniva lanciata nello spazio la sonda della NASA New Horizons. La sua missione: raggiungere gli estremi più lontani del Sistema Solare, Plutone e Caronte, e quindi “immergersi” dentro la fascia di Kuiper. Quel lancio non si può rivedere solo nei video pubblicati dalla NASA o dai divulgatori astronomici sui loro canali social, ma anche in un video musicale piuttosto particolare. Il video di una canzone rock composta da una delle icone del genere: Brian May. La scoperta di PlutonePlutone venne scoperto il 18 febbraio del 1930 da Clyde Tombaugh mentre era ospite del Lowell Observatory. Questo istituto era intitolato a Percival Lowell, le cui strade si erano da lontano incrociate con il nostro Giovanni Schiaparelli in occasione della famosa discussione sui canali di Marte. Lowell, tra le sue tante idee, aveva anche suggerito l’esistenza di un pianeta X oltre l’orbita di Nettuno. E probabilmente dedicò a esso una delle tante conferenze divulgative che realizzava presso il Ladd Observatory. Tra i suoi fan, però, ce n’era uno piuttosto particolare: Howard Phillips Lovecraft. All’epoca, stiamo parlando del 1903, il futuro scrittore di punta di Weird Fantasy, frequentava il Ladd Observatory non solo per assisterealle conferenze di astronomi come Lowell, ma anche con la voglia di diventare egli stesso un astronomo. E fu con questo spirito che inviò allo Scientific American una lettera in cui metteva in fila una serie di prove adimostrazione dell’esistenza di un pianeta trans-nettuniano: era il 16 luglio del 1906. Come sanno tutti gli appassionati di letteratura horror, Lovecraft non divenne mai un astronomo, ma quell’idea lì è probabilmente sfociata nella creazione del pianeta Yuggoth, citato nel racconto Colui che sussurrava nelle tenebre. Quando però New Horizons superò Plutone e Caronte per inoltrarsi nella fascia […]

Astrocuriosità | dicembre 2024 – Zibaldone astronomico

La curiosità del mese a cura di Luigi Foschini Dicembre è per tradizione un mese leggero, ricco di feste e di bilanci. Pertanto, ho pensato di scrivere queste note con la leggerezza dello spirito natalizio. Non c’è un tema in particolare, ma una piccola raccolta di fatti curiosi legati all’astronomia. L’astronomia è una scienza che si basa sulla raccolta di luce da oggetti cosmici. Studiando ed elaborando la radiazione luminosa è possibile dire qualcosa a proposito di stelle e galassie. La luminosità è quindi una quantità fondamentale in astronomia e i telescopi sono progettati per raccogliere ogni singolo fotone proveniente da oggetti sempre più lontani e deboli. Ma vi siete mai chiesti quanto è luminoso un essere umano? Qualunque corpo fisico dotato di una temperatura emette radiazione elettromagnetica. Pensate, per esempio, al metallo che diventa incandescente quando supera la temperatura di ~525°C. A questa temperatura, la radiazione è visibile dall’occhio umano, mentre per temperature inferiori, la radiazione si sposta a lunghezze d’onda maggiori, verso l’infrarosso, invisibile ai nostri occhi e per cui occorrono appositi strumenti. La temperatura del corpo umano sano è di circa 37°C, per cui noi emettiamo radiazione infrarossa (Fig. 1). Il calore è generato dal nostro metabolismo basale, ovvero mangiamo per rifornirci di energia che alimenta i nostri organi. Tanto per avere un’idea e considerando i valori medi della popolazione italiana, un maschio ha bisogno di circa 1700 kcal/giorno (l’equivalente di circa 315 g di Nutella), mentre per una femmina sono sufficienti 1293 kcal/giorno (ovvero circa 240 g della gustosa crema al cioccolato). Per calcolare la luminosità di un essere umano, bisogna usare la legge di Stefan-Boltzmann, secondo cui tale quantità è legata alla temperatura e all’area della superficie emittente. La temperatura già la conosciamo (37°C), ma dobbiamo convertirla in gradi Kelvin, ovvero in temperatura assoluta. Sapendo […]

Astrocuriosità | novembre 2024 – Energia atomica

Fotografia in bianco e nero di una nuvola a forma di fungo, che si forma durante l'esplosione di un test nucleare. La nuvola si erge sopra il paesaggio con il cielo e le nuvole circostanti. Il testo 'ASTROCURIOSITÀ' è visibile in alto a destra su uno sfondo arancione.

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini È impossibile parlare dell’energia atomica senza ricordare la tragedie di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945) e senza ricordare il tragico fungo atomico. Ciononostante, cerchiamo di riassumere la storia di come si è riusciti a capire come il nucleo dell’atomo contenesse una quantità enorme di energia e come la si potesse liberare. Possiamo iniziare la nostra storia a Roma, in via Panisperna, dove Enrico Fermi e i suoi i ragazzi stavano rivoluzionando la fisica italiana. Era il 1934, e stavano tentando di vedere cosa succedeva bombardando i nuclei di tutti gli elementi, uno alla volta, quando venivano bombardati dai neutroni. L’idea era di sparare dei neutroni contro il nucleo, sperando di trasformare il nucleo in un elemento radio-attivo. Non erano i soli: a Parigi c’erano Irene e Frederick Joliot-Curie, e a Berlino c’erano Lise Meitner e Otto Hahn: tutti studiavano la radioattività. Enrico Fermi, in quegli anni, fa una scoperta epocale: i proiettili migliori per bombardare il nucleo atomico non sono i neutroni veloci, ma quelli lenti. Succede una mattina in cui i suoi “ragazzi” erano occupati a tenere delle lezioni all’Università, e toccava quindi a Fermi di condurre gli esperimenti. Lui era metodico, e aveva deciso di provare a bombardare tutti gli elementi, uno alla volta. Ma quella mattina è preso da una intuizione inconscia, e tra il “cannone” di neutroni e l’elemento da bombardare inserisce un pezzo di paraffina. Subito l’elemento bombardato reagisce violentemente. Poco prima di pranzo i suoi ragazzi tornano dalle lezioni e Fermi gli fa vedere cosa sta ottenendo. Eccitati, cominciano a discutere, ma Fermi dice: “Andiamo a pranzo”. Nel primo pomeriggio si riuniscono di nuovo e Fermi spiega cosa sta succedendo: la paraffina, che è ricca di idrogeno, ha interagito con i neutroni, […]

Astrocuriosità | ottobre 2024 – La scienza con i supereroi: su Marte con Atomo

La curiosità del mese a cura di Gianluigi Filippelli All’interno delle proposte didattiche dell’Osservatorio, in particolare nella sua sede storica di Brera, sono presenti una serie di conferenze, tenute da chi vi scrive, sulla scienza raccontata tramite i fumetti. In particolare all’interno di questo vasto argomento, cui dedico un blog sul network del magazine di critica fumettistica Lo Spazio Bianco, mi concentro soprattutto sul vasto tema de La scienza con i supereroi, cui è dedicato la curiosità di questo mese. Quanto state per leggere è, allo stesso tempo, solo una parte della conferenza Justice in Space, che ha avuto l’onore di esordire ufficialmente a Lucca Comics 2023. Il viaggio che stiamo per intraprendere ci porterà sulla superficie di Marte, ma per compierlo nel modo migliore possibile, consentitemi di introdurre il supereroe che ci accompagnerà: Atomo. Piccolo combattenteCreato da Bill O’Connor e Ben Flinton, Atomo ha esordito su All-American Comics #19 dell’ottobre del 1940. All’inizio era un semplice ex-pugile, Al Pratt, che decise di indossare un costume da supereroe per combattere il crimine. Più avanti divenne membro fondatore della Justice Society of America, il primo supergruppo della storia dei fumetti supereroistici. Ideata da Gardner Fox e Sheldon Mayer, la JAS esordì sulle pagine di All-Star Comics #3, albo datato inverno 1940. La formazione originale era costituita, in ordine sparso, da Atomo, Dottor Fate, Flash, Lanterna Verde, Hawkman, Hourman, Sandman, Lo Spettro e Johnny Thunder. Quasi la metà di questi personaggi erano stati creati proprio dallo stesso Fox, e molti di loroavevano esordito proprio sugli albi antologici All-American Comics e All-Star Comics. Delle molte avventure degli esordi, ci interessa in particolare quella su All-Star Comics #13, quando i nazisti spedirono i componenti del supergruppo sugli 8 pianeti del Sistema Solare. Quell’8, però, non è un errore: all’epoca, infatti, Plutone, che era stato […]

Astrocuriosità | settembre 2024 – Come sopravvivere alla morte del Sole: corso base accelerato

La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga Quante volte abbiamo rischiato l’estinzione? Non le ho contate tutte, ma sono state tante: tra epidemie, carestie, catastrofi naturali, la popolazione di Homo Sapiens su questo pianeta è stata ridotta molte volte di numero, quasi al punto da non riuscire più a riprendersi. E la prova, per quanto possa sembrare strano, sta nel fatto che solo lo 0.1% dei nostri geni varia da un individuo all’altro, ovvero discendiamo da pochi progenitori sopravvissuti in tempi remoti (il cosiddetto effetto collo di bottiglia genetico). E se ora la medicina e la tecnologia ci hanno messo abbastanza al riparo dalle prime due minacce, il fatto di disporre di un arsenale di più di 13000 testate nucleari potrebbe rendere piuttosto facile porre fine in pochi giorni alla nostra esistenza su questo pianeta. E anche qui, potremmo contare le volte che ci siamo arrivati vicini per sbaglio. E per non parlare del riscaldamento globale, che potrebbe renderlo inabitabile – sempre per mano nostra – nel giro di pochi secoli. E poi, ci sono le minacce che vengono dall’interno della Terra (eruzioni di super-vulcani) e dallo spazio: impatti di asteroidi, esplosioni di supernove vicine, Gamma Ray Burst, tutti fenomeni che hanno molto probabilmente causato svariate estinzioni di massa nei 4.5 miliardi di storia della Terra: la prossima volta potrebbe toccare a noi. Ma supponiamo per un attimo di essere stati così in gamba da essere riusciti a deviare tutti gli asteroidi e le comete in rotta di collisione con la nostra Terra. E anche di avere risolto i problemi del riscaldamento globale, della corsa agli armamenti, della sovrappopolazione, dell’approvvigionamento energetico… potremo dire di avere garantito la sopravvivenza perpetua alla nostra specie? Purtroppo no. E la minaccia definitiva arriva proprio dalla stella che ci dona la vita ogni […]

Astrocuriosità | luglio 2024 – Il costo del tempo

La curiosità del mese a cura di Luigi Foschini Interstellar (SPOILER ALERT!) è un film di fantascienza del 2014 diretto da Christopher Nolan e interpretato, tra gli altri, da Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Matt Damon e Michael Caine. Il film si è avvalso della consulenza scientifica di Kip Thorne fisico teorico statunitense (premio Nobel per la fisica nel 2017, per l’osservazione delle onde gravitazionali). È un film molto bello, dove la scienza viene estrapolata con saggia fantasia, tanto che potrebbe essere uno standard per la moderna divulgazione scientifica. Se non lo avete mai visto, ve lo consiglio di cuore. E per chi ha difficoltà a comprendere le parti scientifiche, c’è il bel libro di Kip Thorne che spiega la scienza alla base del film, suddividendola molto saggiamente in tre parti: quella consolidata, quella incerta di frontiera e quella che è allo stadio di speculazione. Il tema scientifico centrale del film è la relatività del tempo e l’impatto che può avere sulla vita umana, se un giorno gli esseri umani riusciranno a viaggiare nello spazio interstellare. L’astronauta Joseph Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, parte dalla Terra che ha 34 anni e ritorna che ne ha 124, mentre sua figlia Murph (Jessica Chastain) ha quasi 10 anni quando lui parte e lo rincontra sul letto di morte a 99 anni. Ma Cooper è ancora giovane, perché per lui sono trascorsi pochi anni dalla partenza. Il ritmo del tempo è stato differente per padre e figlia, perché il padre è stato vicino a un buco nero, che nel film è chiamato Gargantua (fig. 1), in onore del protagonista insaziabile di un romanzo di François Rabelais. Per capire perché cambia il ritmo del tempo è necessario fare alcuni semplici conti. Non spaventatevi, perché è sufficiente la conoscenza delle quattro operazioni. Consideriamo un […]