Astrocuriosità | febbraio 2025 – Raggi X allo specchio: I puntata – Riflessione totale

La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga

Immagine di Daniele Spiga

Questa astrocuriosità, prima di una serie introduttiva all’ottica dei raggi X, è parte del progetto AOX (P.I. Marta Civitani, INAF-Brera) finanziato da ASI per lo sviluppo di ottiche monolitiche per raggi X in vetro sottile.

I puntata: riflessione totale

“Avere la vista a raggi X”. Avete già sentito questa espressione? Di solito fa riferimento alla capacità presunta che delle persone possano vedere oggetti nascosti da uno schermo, oppure all’interno del corpo umano. Capacità che i raggi X possiedono – come notò il loro scopritore W. Röntgen nel 1895 – in quanto riescono a penetrare la materia a bassa densità come i nostri tessuti molli, mentre vengono assorbiti dai nostri tessuti più densi come le ossa oppure dai metalli (Figura 1). A questo punto, l’ombra dei raggi X può impressionare una lastra fotografica (o, dagli anni ’90 in poi, una CCD) descrivendo con precisione sbalorditiva l’interno del nostro corpo in maniera totalmente indolore e non invasiva. Ed ecco fatta una radiografia.

Ma (forse lo sospettavate) i nostri occhi non sono fisicamente in grado di percepire i raggi X direttamente. E nemmeno viviamo in un ambiente naturale dove i raggi X sono presenti ad alte dosi; per produrli, servono dei dispositivi artificiali nemmeno troppo complessi, come il classico tubo a raggi X che vediamo ogni volta che andiamo dal dentista (ma basta anche solo srotolare un nastro adesivo). Ci sarebbe anche la radioattività ambientale, ma è normalmente a livelli così bassi che ci viviamo tranquillamente in mezzo senza accorgercene. Ma anche così, i raggi X percorrono al massimo pochi metri in aria prima di ionizzare una molecola d’aria, ed esserne così assorbiti. Quindi, mi spiace per i supereroi e i millantatori di superpoteri inesistenti, ma di possedere una vista a raggi X proprio non se ne parla.

Peccato però, perché i raggi X sono molto, molto interessanti. Sono onde elettromagnetiche come la luce visibile, che viaggiano esattamente alla sua stessa velocità (circa 299792 km/s nel vuoto) ma con una lunghezza d’onda 1000 volte più piccola, ovvero frequenza ed energia 1000 volte superiori. Sono la parte dello spettro elettromagnetico (Figura 2) che si trova oltre la lunghezza d’onda più piccola che i nostri occhi riescono a vedere (nel violetto, a circa 400 nanometri) e oltre la famosa banda ultravioletta (UV), quella che ci causa scottature se ci esponiamo al sole dimenticandoci di metterci la crema. A lunghezze d’onda inferiori al nanometro (10-9 m) entriamo effettivamente nella banda dei raggi X, che si estendono fino a 10-11 m, dove convenzionalmente si fa iniziare la banda dei raggi g  (gamma anche se alcuni fanno iniziare questa banda dai 2.4×10-12 m in giù). Per darvi un’idea di quanto siano piccole queste dimensioni, la lunghezza d’onda di un raggio X “medio” ovvero 10-10 m (unità di misura detta angstrom, indicato col simbolo Å), corrisponde alle dimensioni di un atomo di idrogeno. La loro energia è così alta da spezzare i legami chimici tra le molecole delle cellule,[1] creando un gran numero di radicali liberi che possono impedire alla cellula di funzionare fino a ucciderla o a causarne il funzionamento anomalo (come il cancro), specie se è il DNA a essere intaccato. Per nostra fortuna, l’evoluzione ha dotato le cellule di sistemi di auto-riparazione che permettono loro di gestire un livello di stress ossidativo dell’ordine di quello causato dalla radioattività naturale, anche entro ampi limiti.

Per lo stesso motivo, non abbiamo motivo di temere una moderata esposizione ai raggi X derivanti dalle moderne radiografie o dalle TAC, anche in considerazione del fatto che sono appositamente studiate per minimizzare la dose assorbita dal corpo.

Ma… ci sono raggi X che arrivano dallo spazio? Qui il discorso è un po’ diverso. Le stelle in genere sono deboli emettitori di raggi X, perché le loro fotosfere non raggiungono le temperature necessarie a produrli. L’unica stella che ci investe di raggi X in quantità significative è il Sole, ma solo per la sua vicinanza, e specie in questi anni di picco di attività coronale. Però, l’universo è pieno di oggetti compatti, come le stelle di neutroni o i famosi buchi neri, intorno a cui la materia si accumula fino a raggiungere temperature di milioni di gradi, emettendo grandi quantità di raggi X, rilevabili anche da miliardi di anni luce di distanza (Figura 3). Fortunatamente per la nostra salute, la nostra atmosfera ci protegge in maniera più che efficace da questo bombardamento che, tra UV, X e gamma renderebbe impossibile la vita al di fuori degli oceani, salvo poche eccezioni. Ma per converso, questo schermo così efficace si rivela un ostacolo per chi, come noi, desidera studiare queste fenomenali sorgenti cosmiche di raggi X allo scopo di trovare, studiare e comprendere questi stranissimi oggetti compatti al limite della fisica conosciuta. È questo uno dei motivi che ha reso così difficile osservare l’universo a raggi X; abbiamo dovuto portare i nostri strumenti nella stratosfera oppure in orbita, cosa che abbiamo iniziato a fare nel 1962 (data di nascita ufficiale dell’astronomia X), quando Bruno Rossi e Riccardo Giacconi (Figura 4) scoprirono, con un rivelatore montato su un razzo in volo suborbitale, la prima sorgente X extrasolare: Scorpius X-1. E fu solo una delle scoperte per cui Giacconi fu insignito del Premio Nobel per la Fisica nel 2002 (purtroppo Rossi era deceduto nel 1993).

La scoperta del 1962, tuttavia, non era stata fatta con un vero telescopio; lo strumento era un rivelatore con un tubo collimatore che forniva indicazioni sulla posizione della sorgente in cielo, ma non era ancora un dispositivo in grado di formare immagini come una macchina fotografica, il nostro occhio, oppure un telescopio ottico. Cosa occorre, infatti, per formare un’immagine? Occorre deviare i raggi di luce in modo che tutti i raggi provenienti da una data direzione vengano concentrati in un singolo punto. Sorgenti diverse generano raggi che provengono da direzioni diverse, e ognuna di esse genera un punto su un piano (detto piano focale) in cui un tempo si metteva la pellicola e ora invece si trova una CCD. L’insieme di tutti i punti nel piano forma l’immagine di una porzione di cielo (il campo di vista). L’altro grande vantaggio di formare immagini risiede poi nel potere di concentrazione, ovvero il poter concentrare la radiazione raccolta dall’apertura del telescopio (che quindi conviene fare molto grande) su una piccolissima area cosi da amplificare il segnale luminoso e rilevare sorgenti molto lontane (e che perciò ci appaiono molto deboli).

Bene, ci siamo convinti: come li concentriamo questi sfuggentissimi raggi X? Un modo per deviare la luce visibile lo conosciamo da secoli: è la rifrazione della luce, ovvero sfruttare la deviazione della luce quando passa da un mezzo (ad es., l’aria) ad un altro (ad es., il vetro o l’acqua). Dando la ben nota forma a un pezzo di vetro, si ottiene una lente convergente, cioè in grado di concentrare i raggi che entrano nella sua apertura a una certa distanza (Figura 5) formando una immagine fedele dell’oggetto. Il nostro occhio, le macchine fotografiche, e i cosiddetti telescopi rifrattori utilizzano appunto lenti di questo tipo. Tuttavia, ci sono dei problemi a realizzare grandi lenti esenti da aberrazioni, perciò dal XVIII secolo abbiamo iniziato a realizzare telescopi basati su specchi, ovvero sul fenomeno della riflessione (Figura 6). Uno specchio è più facile da sagomare, specie se è di grandi dimensioni, perché la lavorazione deve essere concentrata solo su una delle sue superfici. Non deve essere trasparente, è più facile da sostenere, e non è soggetto ad alcune fastidiosissime aberrazioni a cui vanno soggette le lenti.

E qui… cominciano i guai: i raggi X non si fanno né rifrangere né riflettere facilmente. Se gli mettete una lente di fronte, o la attraversano quasi senza essere deviati o ne vengono totalmente assorbiti. Funzionerà uno specchio, allora? Mica tanto. Un bello specchio lucido (che pure funziona benissimo nel visibile, o anche nell’UV) su cui incidono raggi X a 90° circa, li assorbirà praticamente tutti senza rifletterne nessuno. Eppure, come scoprì Arthur Compton nel 1922, c’è un modo per riflettere i raggi X: farli incidere in radenza, ovvero orientare lo specchio in modo che i raggi lo colpiscano a pochi gradi dalla sua superficie. Un po’ come quando si fa rimbalzare un sasso sull’acqua (Figura 7): occorre lanciarlo lontano, con forza, e possibilmente stando un po’ chini, in modo che la velocità del sasso formi un angolo piccolo con la superficie. In caso contrario, il sasso affonderà ancora prima di bagnarsi.


Naturalmente, i raggi X non sono sassi, quindi per capire il motivo del loro strano comportamento dobbiamo introdurre un numerino che caratterizza i materiali quando vengono attraversati dalle onde elettromagnetiche, detto indice di rifrazione e indicato con la lettera n. L’indice di rifrazione di un materiale esprime di quante volte la luce viene rallentata in esso, rispetto a quando viaggia nel vuoto. Ad esempio, nel vuoto n = 1, l’aria ha n appena maggiore di 1, mentre l’acqua ha n = 1.33 per la luce visibile, il che significa che la luce in acqua viaggia alla velocità di “soli” 299792/1.33 = 225408 km/s. Il diamante ha n = 2.4, quindi la luce visibile viaggiando nel diamante rallenta di quasi due volte e mezza! Insomma, ogni materiale ha un suo valore di n, e per di più il suo valore varia con la lunghezza d’onda della luce, ma di regola n > 1. In questi casi, l’analisi di un raggio di luce che incide da un materiale di n inferiore su uno di n maggiore mostra che il raggio si divide sempre in due: un raggio riflesso e un raggio rifratto. Perciò l’acqua, il vetro o persino il diamante, riflettono la luce che incide dall’aria su di essi parzialmente, trasmettendo attraverso di sé la frazione di luce non riflessa. L’ampiezza del raggio riflesso dipende dall’angolo di incidenza, ma cresce sempre al crescere della differenza di indici di rifrazione tra i due mezzi.

Ma supponiamo ora di far partire il raggio di luce da dentro l’acqua (Figura 8), ovvero incidendo dal materiale con indice di rifrazione maggiore su quello di indice di rifrazione minore (l’aria). In genere, il raggio verrà ancora riflesso parzialmente all’interno dell’acqua e in parte verrà trasmesso in aria. Non serve fare esperimenti particolari: vi basterà osservare, stando sul bordo di una piscina, che si riesce a vedere gli oggetti posti sul fondo… ma solo fino a una certa distanza! Infatti, quando il raggio incide internamente a meno di 41° dalla superficie (detto angolo critico), viene riflesso al 100% all’interno dell’acqua, mentre il raggio rifratto in aria scompare. Questo fenomeno viene chiamato riflessione totale, e noi possiamo osservarlo guardando la superficie dell’acqua da sotto: abbastanza lontano da noi (ovvero dove la luce incide ad angoli più radenti dell’angolo critico per la riflessione totale), la superficie ci apparirà come uno specchio perfetto. Si noti che la riflessione totale si verifica ad un angolo sufficientemente radente, ma solamente quando la luce incide da un mezzo di n maggiore su uno di n minore.

E ora, armati di quello che abbiamo imparato sulla riflessione e sulla rifrazione, torniamo ai raggi X. Se misuriamo l’indice di rifrazione dei raggi X in vari materiali (non solo vetro o acqua, ma anche metalli o altri solidi), avremo ben due sorprese: la prima è che n differisce pochissimo da 1, cioè 1-n si aggira intorno a 10-3 o 10-4… e questo ci spiega perché sia la riflessione che la rifrazione dei raggi X siano quasi impercettibili in incidenza normale: per i raggi X, tutti i mezzi materiali che incontrano differiscono pochissimo dal vuoto. Eppure, vi fanno ben poca strada prima di esservi assorbiti: a seconda della loro lunghezza d’onda, pochi metri nell’aria o pochi decimi di millimetro nel vetro!

La seconda sorpresa è che, anche se di poco, nei raggi X n è sempre minore di 1, perciò, incidendo dal vuoto (n =1) su un mezzo materiale, possiamo sfruttare il fenomeno della riflessione totale visto prima, ottenendo così uno specchio (Figura 9) che riflette i raggi X fin quasi al 100%, anche se – a causa della piccola differenza di n da 1 – l’angolo critico è sempre molto piccolo (pochi gradi, al massimo), e per di più diminuisce in proporzione con la lunghezza d’onda. Per fortuna…, si scopre anche che l’angolo critico è proporzionale alla radice quadrata della densità del materiale (Figura 10) e quindi possiamo utilizzare materiali riflettenti come l’oro, il platino, o l’iridio che, oltre ad avere un’alta densità e quindi aumentare l’angolo critico, formano anche strati molto lisci, compatti, ed inossidabili. Ed è questo che ci consente di fabbricare specchi che, dotati di una forma opportuna, ci consentono di formare immagini su una CCD, ossia “vedere nei raggi X”; anche se l’incidenza radente vincola la geometria e le dimensioni degli specchi, comportando alcuni aspetti un po’ scomodi, ma comunque gestibili, dell’ottica a raggi X. Ma questi, li vedremo in dettaglio un’altra volta.

II puntata: nel prossimo episodio, cercheremo di capire perché questi raggi abbiano un’interazione con la materia così peculiare da produrre un indice di rifrazione minore di 1. Tra l’altro… vi siete accorti che n < 1 comporta che i raggi X in un mezzo materiale… viaggino più veloce della luce nel vuoto? Non dovrebbe essere impossibile? La risposta a questo apparente paradosso starà, come vedremo, in un’altra parola chiave dell’ottica: dispersione.

Per saperne di più:

  1. W. Röntgen, Nature 53, 274 (1896)
  2. A. H. Compton, Philos. Mag. 45, 1121 (1923)
  3. R. Giacconi, H. Gursky, F. R. Paolini et al., Phys. Rev. Lett. 439 (1962)
  4. A. G. Michette, Optical Systems for Soft X-rays (Plenum Press, New York, 1986)
  5. E. A. Spiller, Soft X-Ray Optics, SPIE Publications (1984)
  6. G. Pareschi, D. Spiga, C. Pelliciari, The WSPC handbook of Astron. Instr., Vol. 4, Ch. 1 (2021)

Fig. 1 – Una delle prime radiografie eseguite da Röntgen: la mano (e l’anello) di A. Von Kölliker.
Fig. 2 - Lo spettro elettromagnetico (adattamento di un’immagine NASA, di pubblico dominio). I raggi X si trovano verso la porzione più energetica dello spettro e di lunghezza d’onda inferiore.
Fig. 2 – Lo spettro elettromagnetico (adattamento di un’immagine NASA, di pubblico dominio). I raggi X si trovano verso la porzione più energetica dello spettro e di lunghezza d’onda inferiore.
Fig. 3 -  Il cielo a raggi X visto dal telescopio spaziale eROSITA. La linea orizzontale è il piano della Via Lattea. Le sorgenti più intense sono oggetti compatti galattici in accrescimento.  I puntini luminosi non sono stelle, ma sorgenti extragalattiche (crediti: J. Buchner via Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0).
Fig. 3 – Il cielo a raggi X visto dal telescopio spaziale eROSITA. La linea orizzontale è il piano della Via Lattea. Le sorgenti più intense sono oggetti compatti galattici in accrescimento.  I puntini luminosi non sono stelle, ma sorgenti extragalattiche (crediti: J. Buchner via Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0).

Fig. 4 - Bruno Rossi a sinistra e Riccardo Giacconi a destra, i due fondatori dell’astronomia a raggi X. Ebbene sì, due italiani: l’Italia ha avuto e continua ad avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di strumentazione per raggi X. Crediti: web.
Fig. 4 – Bruno Rossi a sinistra e Riccardo Giacconi a destra, i due fondatori dell’astronomia a raggi X. Ebbene sì, due italiani: l’Italia ha avuto e continua ad avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di strumentazione per raggi X. Crediti: web.
Fig. 5 - Concentrazione di raggi di luce laser tramite rifrazione, usando lenti - Fotografia fatta durante lo stage PCTO 2023 Laboratorio di Ottica, in collaborazione con Bianca Salmaso e Andrea Bianco, INAF-Brera.
Fig. 5 – Concentrazione di raggi di luce laser tramite rifrazione, usando lenti – Fotografia fatta durante lo stage PCTO 2023 Laboratorio di Ottica, in collaborazione con Bianca Salmaso e Andrea Bianco, INAF-Brera.
Fig. 6 -Riflessione (ordinaria) del monte Cervino sul lago Riffel. Si noti come la riflettività dell’acqua aumenti con l’aumentare della distanza, e quindi al diminuire dell’angolo dalla superficie (derivato da foto di Dirk Beyer via Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0, versi di Dante Alighieri aggiunti dall’autore dell’articolo).
Fig. 7 - Il “rimbalzello” di un sasso piatto lanciato in radenza su una superficie d’acqua è un modello meccanico della riflessione radente dei raggi X su uno specchio (crediti: K. Ridols-Patagonia via Wikimedia Commons, CC BY-SA 2.0).
Fig. 7 – Il “rimbalzello” di un sasso piatto lanciato in radenza su una superficie d’acqua è un modello meccanico della riflessione radente dei raggi X su uno specchio (crediti: K. Ridols-Patagonia via Wikimedia Commons, CC BY-SA 2.0).
Fig. 8 - Il fenomeno della riflessione totale si verifica quando la luce proveniente dalla sorgente di luce sott’acqua incide sulla superficie di separazione con l’aria, che ha un indice di rifrazione inferiore, ad un angolo inferiore a quello critico, che per la coppia acqua-aria vale 41° circa - Crediti: Daniele Spiga.
Fig. 8 – Il fenomeno della riflessione totale si verifica quando la luce proveniente dalla sorgente di luce sott’acqua incide sulla superficie di separazione con l’aria, che ha un indice di rifrazione inferiore, ad un angolo inferiore a quello critico, che per la coppia acqua-aria vale 41° circa – Crediti: Daniele Spiga.
Fig. 9 - lo stesso schema di riflessione totale di Figura 8, applicato a dei raggi X incidenti su una superficie dorata. In questa figura, però, l’angolo critico è notevolmente esagerato. Inoltre, gli “occhi” sono stati sostituiti da una CCD di silicio.
 - Crediti: Daniele Spiga.
Fig. 9 – lo stesso schema di riflessione totale di Figura 8, applicato a dei raggi X incidenti su una superficie dorata. In questa figura, però, l’angolo critico è notevolmente esagerato. Inoltre, gli “occhi” sono stati sostituiti da una CCD di silicio.
– Crediti: Daniele Spiga.
Fig. 10 - Variazione della riflettività di diversi materiali per raggi X di lunghezza d’onda di 2 Å. Le regioni di riflessione totale sono i plateau sulla sinistra. Si noti come l’angolo critico aumenti con la densità del materiale, e come materiali più densi presentino una transizione più graduale dalla riflessione totale a quella ordinaria - Crediti: Daniele Spiga.
Fig. 10 – Variazione della riflettività di diversi materiali per raggi X di lunghezza d’onda di 2 Å. Le regioni di riflessione totale sono i plateau sulla sinistra. Si noti come l’angolo critico aumenti con la densità del materiale, e come materiali più densi presentino una transizione più graduale dalla riflessione totale a quella ordinaria – Crediti: Daniele Spiga.

[1] I raggi X, gamma e la parte più energetica degli UV appartengono infatti alle radiazioni ionizzanti, mentre la radiazione visibile e quella di lunghezze d’onda superiore (infrarosso, microonde, e radio) forma la radiazione non ionizzante, ovvero di energia insufficiente a rompere legami chimici. Le onde radio (come quelle dei telefoni cellulari) non possono dunque né danneggiare il DNA né causare il cancro.