La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga Una storia di perseveranza[1] alla ricerca della vita su Marte (Daniele SPIGA, INAF-OAB) [1] Dal vocabolario Treccani: “Costanza e fermezza nel perseguire i propri scopi o nel tener fede ai propri…
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Oggi torniamo a parlare di tempo e di calendario, proseguendo il discorso iniziato con la curiosità di gennaio 2018 (“Il giorno più corto”).Allora abbiamo parlato di anno, solstizi ed equinozi. Qui parliamo del calendario più in generale, di imperatori e di papi.Una suddivisione del tempo è necessaria per organizzare le attività e gli eventi astronomici forniscono tre tempi fondamentali: il giorno, il mese e l’anno.Il giorno è il tempo di rotazione della terra, anzi per essere più precisi il tempo di rotazione apparente del sole intorno alla terra.La terra ruota sul proprio asse facendo un giro in poco più di 23 ore, 56 minuti e quattro secondi.Dato che in questo tempo il pianeta si sposta nella sua orbita intorno al sole, perchè il sole torni ad essere nello stesso punto bisogna aspettare ancora 3 minuti e 56 secondi: in totale 24 ore.Il mese è il tempo di rotazione della luna intorno alla terra, per cui si applica la stessa correzione di cui sopra: la luna torna nello stesso posto rispetto alle stelle in media ogni 29 giorni 12 ore e 43 minuti.L’anno è il tempo di rivoluzione della terra intorno al sole, pari a 365.242374 giorni, quasi esattamente.Il giorno è utile per scandire il tempo giornaliero: per motivi storici è diviso in 24 ore, le ore in 60 minuti e i minuti in 60 secondi.Ce le siamo inventate noi e la suddivisione è esatta. Anche qui ci sarebbe da raccontare, ma non abbiamo spazio.L’anno è essenziale per le attività a lungo termine, soprattutto quelle di tipo agricolo. Il mese è un ottimo tempo intermedio.Qui sorge il problema: non c’è un numero intero di giorni in un mese e non c’è un numero intero di mesi in un anno, e sarebbe bizzarro se fosse così. Da qui il problema del calendario, che ha tenuto occupata l’umanità per secoli.Come far quadrare questi numeri?La storia del calendario nei secoli e nelle varie civiltà è molto interessante, […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Avete una lampadina da 100 Watt?Bene, provate a guardarla, di notte, a distanze diverse.Ovviamente, man mano che vi allontanate, la luce che vi arriva sarà via via più fioca.Se avete un buon occhio, dopo un po’ di prove sarete capaci di stimare a che distanza siete dalla lampadina solamente guardandola.Se poi avete uno strumento che misura la luce in arrivo potreste essere più precisi.Ma certo non vi immaginate che in questo modo si possa misurare l’universo.Addirittura. E invece è proprio quello che gli astronomi hanno cercato di fare per decenni.La cosa difficile non è tanto misurare la luce che ci arriva, la cosa che ha tenuto impegnati gli astronomi è stata trovare la lampadina da 100 Watt …O meglio, una sorgente di cui si sapeva la luminosità assoluta. Infatti, se non sapete la potenza della vostra lampadina come fate a misurarne la distanza?Non potete.Finalmente, negli anni ’90 del secolo scorso, si trovò che un certo tipo di supernova, quelle che vengono chiamate Ia, potevano essere considerate come delle lampadine standard, perchè avevano tutte la stessa luminosità.Si è anche capito il perchè: queste stelle, prima di esplodere, sono delle nane bianche che accrescono materia da una stella compagna e quando raggiungono una massa di circa 1 massa solare e mezza esplodono.Il fatto che il valore della massa a cui esplodono sia sempre lo stesso spiega perchè la loro luminosità sia sempre la stessa.Quando misuriamo la luce che ci arriva da queste supernovae, facciamo come con la lampadina da 100 Watt, e sappiamo risalire alla loro distanza.Ma questo non basta per misurare l’espansione dell’universo. Infatti sapere la distanza tra noi e la supernova non implica che la distanza che ci separa stia crescendo.C’è un’altra informazione cruciale che possiamo ricavare dalle osservazioni di queste supernove, ed è lo spostamento verso il rosso della loro luce, il cosiddetto redshift cosmologico.Questo effetto esiste solo se l’universo si espande.La luce è partita dalla […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Una stella di neutroni è un oggetto del raggio di una decina di chilometri e di massa quasi una volta e mezzo quella del nostro Sole.Non soltanto la sua densità è quindi spaventosa e la sua struttura interna molto complessa ed elusiva, ma l’attrazione di gravità sulla sua superficie è estrema: miliardi di volte più forte che sulla terra.Il fisico e scrittore di fantascienza statunitense Robert L. Forward nel 1980 ha scritto un bel romanzo, intitolato “Dragon’s Egg” e purtroppo inedito in Italia, in cui immagina una civiltà aliena che vive sulla superficie di una stella di neutroni.Qui non ci addentriamo nell’argomento “vita su una stella di neutroni” ma vediamo cosa succede alla materia che ci atterra sopra.Lo spazio non è mai completamente vuoto e un oggetto dalla attrazione di gravità così intensa agisce da aspirapolvere interstellare, attirando su di sè tutti gli atomi nelle vicinanze.Però la densità tipica del mezzo interstellare è molto bassa e anche in una nube piuttosto densa questo “pasto” interstellare non è particolarmente estremo.Ci sono però sistemi binari in cui una delle due stelle è una stella di neutroni.Se la distanza fra le due stelle è abbastanza ridotta, la stella di neutroni strappa materia alla compagna e questa materia, con modalità complesse che qui non ci interessano, alla fine cade sulla superficie della stella di neutroni.Stiamo parlando di gas, principalmente idrogeno ed elio.Cosa succede a questo gas una volta che è giunto a destinazione? Si accumula e forma uno strato sottilissimo sulla superficie, spargendosi su tutta la stella, vista la fortissima attrazione gravitazionale.Sottilissimo e molto denso: più ne arriva più la sua densità e temperatura aumentano.Quando la pressione alla base di questo strato di pochi metri diventa sufficientemente alta, si innesca una reazione termonucleare che funziona proprio come una bomba ad idrogeno: il calore della reazione incrementa la reazione stessa.In brevissimo tempo la reazione consuma tutto il combustibile disponibile. In sostanza questo guscio sottile esplode.Date le alte energie in gioco, l’esplosione emette una grande quantità di raggi X, che vediamo con i nostro […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Venere è spesso presentato come il pianeta gemello della Terra.Infatti è grande quasi come la Terra e ha più o meno la stessa massa, tanto che un uomo che pesa 80 chili sulla Terra ne peserebbe 70 su Venere.La sua orbita è più vicina al Sole di circa il 70 per cento di quella della Terra: questo significa che riceve dal Sole il doppio di luce e di energia.Dato che tutti i pianeti del sistema solare si sono formati insieme, hanno tutti la stessa età: circa 4 miliardi e mezzo di anni.Ma le somiglianze tra Terra e Venere finiscono qui.Venere è un vero inferno.Alla sua superficie la temperatura è circa 470 gradi Celsius, così alta da fondere il piombo.La pressione della sua densissima atmosfera, alla superficie, è 90 volte quella dell’atmosfera terrestre. La stessa che sentiremmo andando 900 metri sott’acqua.Infatti le prime sonde russe che tentarono di atterrare sulla superficie di Venere si accartocciarono e implosero, perchè erano state progettate per resistere ad una pressione molto minore, di 20-30 atmosfere. Il 96 per cento dell’atmosfera venusiana è fatto di anidride carbonica.E il resto? Un po’ di azoto e di acido solforico.La pressione dell’atmosfera è così densa da trasportare il calore uniformemente su tutto il pianeta, anche nella parte non illuminata dal sole, dove la notte dura 116 giorni terrestri, cioè circa 4 mesi. E quando albeggia avremmo una sorpresa: il Sole non sorge ad est, ma a ovest.Infatti Venere ruota al contrario di tutti gli altri pianeti (a parte Urano, che praticamente rotola sul piano orbitale).Il suo asse di rotazione non è inclinato, per cui, anche se potesse (e non può, per via della sua atmosfera) Venere non avrebbe stagioni. Sempre un caldo infernale, anche ai poli, anche di notte. è come se Venere ci stesse dicendo: umanità, stai attenta!Se continui a produrre anidride carbonica finirai come me! Anch’io da giovane ero come la […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Oggi non voglio parlare di astronomia, ma di esponenziali e di ritardi, di fisica, eserciti medievali e attualità.Come diceva il tricheco di Alice: di “cavoli e di re”.Siamo ancora in periodo di pandemia e si è sentito parlare di fattori R0 (vedi definizione su wikipedia) e Rt, a volte spettacolarmente a sproposito.Facciamo delle considerazioni generali, che devono stare sempre alla base sebbene, come si dice, il diavolo si annidi sempre nei dettagli.Lasciamo per un momento il campo epidemiologico e parliamo di fissione nucleare.Prendiamo degli atomi di uranio 235. L’uranio in natura si trova per il 99.7% sotto forma di uranio 238 e solo lo 0.3% di uranio 235.Per questo esiste l’arricchimento dell’uranio, per buttare il 238 e tenere solo il 235 (dato che si tratta sempre di uranio, la chimica è inutile: tutte le reazioni chimiche funzionano allo stesso modo per l’uranio. Bisogna sfruttare il fatto che il 238 ha tre neutroni più del 235, quindi è di poco più pesante. Ci sono metodi per separare gli atomi più pesanti da quelli più leggeri, come si separa il riso dai sassolini). Ma sto divagando.Se un atomo di uranio è colpito da un neutrone, si spacca e rilascia energia, producendo anche dei neutroni, tipicamente due o tre. Se uno di questi neutroni colpisce un altro atomo di uranio il processo si ripete e altri neutroni sono prodotti.A seconda di quanto uranio c’è e come è distribuito, le cose possono andare diversamente. Il processo dipende da un fattore detto k, che rappresenta il numero medio di atomi di uranio colpiti dai prodotti della fissione di un altro atomo (suona familiare?).Se k è minore di 1, il processo si ferma subito, a ogni “giro” ci sono sempre meno eventi (e che nessuno venga a dire che ci vogliono due neutroni per spaccare un atomo di uranio). Se k=1 procede in modo costante […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Esattamente un anno fa, il il 13 luglio 2019, partiva un enorme razzo da Baikonour, in Kazakistan, con a bordo uno strumento sofisticato: un telescopio per i raggi X. Anzi, ben sette telescopi, tutti uguali e coordinati tra loro.Il suo nome?eRosita, acronimo di “extended Röntgen Survey with an Imaging Telescope Array“.Il nome contiene un pezzo di storia:extended perchè il primo progetto (Rosita) era programmato per volare sulla Stazione Spaziale internazionale, ma poi non se ne fece niente.Röntgen perchè in Germania i raggi X si chiamano raggi Röntgen, in onore dello scopritore (che fu il primo fisico a ricevere il premio Nobel, nel 1901).Array perchè è una shiera di telescopi, non uno solo, pensati per fare uno “scanning” (Survey) di tutto il cielo, e di fornire le immagini di milioni di sorgenti. E in tutto questo c’è anche un pezzo di Italia: infatti i telescopi sono stati costruiti dalla Medialario, una ditta brianzola nata come spin-off delle ricerche di Oberto Citterio, il mago degli specchi X che lavorava proprio qui, all’Osservatorio di Brera, che ha inventato la tecnica di costruzione. Inoltre il capo scientifico della missione è il bravissimo italiano Andrea Merloni, laureato alla Sapienza e dottorato a Cambridge, Inghilterra. Ma perchè vogliamo guardare l’universo nei raggi X?Cosa c’è di diverso dal guardarlo nella luce visibile? Tento una analogia: nel visibile è come guardare come funzionano i mulini a vento o ad acqua, nei raggi X è come guardare come funzionano le bombe atomiche.Un raggio X è almeno mille volte più energetico di un fotone del visibile. Può quindi venir prodotto da fenomeni più violenti di quelli che vede il nostro occhio.Per esempio, la materia che cade in in buco nero, prima di oltrepassare il limite di non ritorno, si comprime così tanto da scaldarsi fino ad oltre qualche milione di gradi, e quindi emette raggi X.Oppure la materia che si schianta sulla superficie di […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni Un telescopio sulla terra va puntato verso l’oggetto voluto.Prima che fossero disponibili i computer, il telescopio si puntava a occhio, anche se il movimento veniva effettuato da un motore.Dato che un telescopio abbastanza grande ha un campo di vista molto piccolo, la probabilità di “piazzare” la stella voluta proprio al suo interno era molto bassa.Si usavano quindi piccoli telescopi coallineati, che mostravano una zona di cielo più grande: se la stella era al centro nel telescopio piccolo, chiamato telescopio cercatore, era (più o meno) nel centro del campo di quello grande.Una volta visto l’oggetto si potevano fare correzioni fini. Se la stella, o la galassia, da osservare era troppo debole per essere vista con il telescopio piccolo, bastava fare una mappa di stelle brillanti per orientarsi e poi puntare nella direzione dell’oggetto voluto, per quanto non visibile.Ora abbiamo i computer: si digitano le coordinate dell’oggetto e il telescopio fa tutto da solo.Alla fine ci sono sempre delle piccole correzioni da fare, dato che nessun motore è così preciso, ma diciamo che il telescopio fa tutto da sè.Una volta puntato l’oggetto, dato che la terra ruota, questo si sposta e bisogna andargli dietro, inseguirlo, per tenerlo puntato.A questo scopo c’è sempre il computer che fa muovere il motore nel modo giusto (ci sarebbe da parlare di come è montato un telescopio, ma lo faremo un’altra volta).Ma un telescopio su un satellite nello spazio? Supponiamo che il nostro telescopio, che osserva il cielo in raggi X, stia puntando l’oggetto A, abbia finito l’osservazione e debba cambiare direzione di puntamento per osservare l’oggetto B.Deve girarsi e per farlo usa delle ruote sfruttando il principio di conservazione del momento angolare.Il satellite non sta ruotando: se la ruota comincia a ruotare in una direzione, per mantenere (conservare) la situazione tutto il satellite deve ruotare dalla parte opposta.Se avete una sedia da ufficio […]
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Dite la verità: quante volte avete letto il vostro oroscopo?Ci credete? Programmate la vostra giornata a seconda di quello che avete letto? Ormai tutti i giornali hanno la rubrica dell’oroscopo …E a fine anno comprate Astra? Oppure non ci fate caso, ma incontrate qualcuno che vi chiede: ma tu di che segno sei? Pesci?“Ah, allora sei sensibile e timido, creativo e immaginifico, ma un po’ contorto … Sai, i pesci sono un segno doppio …”La percentuale di persone che ci crede almeno un po’ è grandissima, oserei dire più del 50 per cento.E come mai? Se lo chiedete ad uno che ci crede la risposta è ovvia: perchè il giorno di nascita determina sul serio il vostro carattere, e ci sono mille prove che questo è proprio vero.Mille prove? E quali sarebbero? Ma basta leggere qualsiasi profilo dei Pesci per avere la prova!Come si sarà capito, io sono dei Pesci, sono un ateo convinto rispetto all’Oroscopo e non mi ci vedo per niente nel profilo dei Pesci doc.O meglio: mi vedo in tutti i profili dell’Oroscopo!Quando ero più giovane capitava spesso che, incontrando persone nuove, queste mi chiedessero: “ma tu che lavoro fai?”E io rispondevo sincero: “faccio l’astronomo, o meglio, l’astrofisico. Ah, bellissimo, allora fai gli oroscopi! Beh no, non faccio gli oroscopi … Fare l’astronomo è un’altra cosa … Ma allora leggi le carte?” Ad un certo punto, circa 25 anni fa, mi sono stancato.E ho perfidamente preparato una contromossa.Ho inventato un modo per leggere le carte. Non i tarocchi, ma proprio le carte normali, quelle da poker.Ho tolto i jolly, sono rimasto con una mazzo da 52 carte, che mescolavo e facevo smazzare al malcapitato di turno.Poi le disponevo a raggiera, 8 raggi con 6 carte ciascuno (6×8 fa 48 e le altre 4? Al centro della raggiera).Poi candidamente dichiaravo: “adesso tenterò di turlupinarti. Vediamo […]
La curiosità del mese a cura di Tomaso In queso periodo siamo tutti bloccati in casa e ci viene detto continuamente di praticare un distanziamento sociale, non andare in luoghi affollati e mantenere una distanza minima di 1-2 metri dagli altri individui.Si tratta di misure importanti e significative, anche se ci fanno sentire rinchiusi e vanno contro la natura sociale dell’essere umano.Circola in questi giorni una battuta su facebook che invoglia a diventare un astronomo, dato che pratichiamo il distanziamento sociale dal 1609.L’anno si riferisce alle prime osservazioni celesti con un telescopio fatte da Galileo Galilei. Naturalmente l’immagine dell’astronomo che vive solitario nel suo osservatorio e spende le notti osservando al telescopio, due condizioni ottimali per non incontrare mai nessuno, è leggermente obsoleta ed in ogni modo grandemente esagerata.Ai tempi nostri l’astronomia non funziona in questo modo ed il contatto, se non diretto almeno a distanza, è essenziale.Che cosa è cambiato per un astronomo dall’introduzione delle misure di contenimento del contagio?Solo pochissimi possono recarsi al lavoro nel loro osservatorio o istituto di ricerca, quelli che non possono evitarlo.Gli altri devono restare a casa come tutti e lavorare in remoto.Io scrivo questo testo sul computer portatile da casa, fortunatamente in un’era dove le connessioni internet sono buone e diffuse altrimenti sarebbero guai.Tutto quello che posso fare dall’ufficio, con poche eccezioni di cui parlerò tra poco, posso farlo anche qui e le collaborazioni nazionali e internazionali si fanno comunque a distanza per la maggior parte del tempo.Questo però non è vero per tutti.Chi lavora normalmente in un laboratorio per lo sviluppo di strumentazione astronomica ad esempio non può farlo da casa.Chi lavora con studenti affronta dei problemi che possono arrivare ad essere insormontabili. I computer e i dati necessari sono in ufficio e non sempre accessibili remotamente.Tutti programmi dei prossimi mesi sono stati rivoluzionati.Conferenze sono state annullate o posticipate di diversi mesi.Scadenze per domande di osservazione sono slittate a date future. Chi […]