La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga

Prosegue la serie introduttiva all’ottica dei raggi X, parte del progetto AOX (P.I. Marta Civitani, INAF-Brera) finanziato da ASI per lo sviluppo di ottiche monolitiche per raggi X in vetro sottile.
Dopo avere descritto il principio della riflessione totale su cui si fonda il funzionamento di uno specchio per raggi X, e dopo avere spiegato le bizzarrie del suo indice di rifrazione… è finalmente giunto il momento di mostrare come sono fatti per davvero gli specchi che formano le ottiche dei telescopi X che osservano, ormai da oltre 60 anni, l’universo ad alte energie. Ma prima di entrare nel vivo della questione, facciamo un salto indietro nel tempo… di più di due millenni!
Anno 212 a.C: infuria la seconda guerra punica tra Roma e Cartagine. Il console romano Claudio Marcello assedia dal mare la città di Siracusa, alleata dei Cartaginesi. L’assedio si protrae da due anni e risulta molto più difficile del previsto… perché a organizzare le difese c’è nientemeno che il più grande scienziato dell’antichità: Archimede. E tra le invenzioni di Archimede ci sono enormi catapulte, gigantesche tenaglie di ferro che sollevano e rovesciano le navi romane, e l’arma più micidiale di tutte: uno specchio parabolico in grado di concentrare la luce solare sullo scafo delle navi, che essendo fatte di legno, prendono fuoco e affondano, per la disperazione del console che in Senato dovrà rispondere a molte domande imbarazzanti. Almeno: così ci racconta il matematico bizantino Artemio di Tralle, che però… è vissuto ben sette secoli dopo questi avvenimenti e non si capisce da quali fonti abbia tratto la notizia di questa strabiliante invenzione di Archimede (spoiler: Polibio, che è lo storico romano vissuto più vicino agli eventi, non ne fa menzione, e nemmeno un cenno si trova in Tito Livio e Plutarco a tal proposito). In effetti l’esperimento[1] è stato replicato nel 1973, è vero, ma usando ben 70 specchi da 1,5 m di diametro…! Perciò, che Archimede sia riuscito effettivamente ad affondare la flotta romana con un singolo specchio a concentrazione, e per di più considerando gli scarsi mezzi di lavorazione e di lucidatura degli specchi che erano disponibili a quei tempi, è poco credibile.
Vero o no che sia stato l’episodio, in via teorica Archimede sapeva certamente che uno specchio la cui forma è descritta dalla rotazione di una parabola intorno al suo asse (il cosiddetto paraboloide di rotazione), quando è illuminato da raggi di luce paralleli al suo asse, ha la proprietà di rifletterli tutti in un punto, detto appunto fuoco (e se vi interessa verificarlo, sappiate che è uno degli esperimenti che io e la mia collega Bianca Salmaso svolgiamo ogni anno nel PCTO “Laboratorio di Ottica”). Ma perché la parabola ha questa proprietà? Perché una parabola è definita come l’insieme dei punti che hanno la stessa distanza dal fuoco e da una retta non passante da esso, detta direttrice. Questa proprietà, attraverso una di quelle costruzioni geometriche in cui i Greci erano maestri (e per cui si disperano tanti nostri studenti…), insieme alla legge della riflessione, permette di ricavare esattamente questo importante risultato. E, se vi interessano i passaggi, li riporto nella didascalia della Figura 1.
Potremmo allora pensare di sfruttare un profilo a forma di paraboloide per costruire un telescopio? Certamente! Anzi, fino agli anni ’80 lo specchio primario di quasi tutti i telescopi ottici era proprio un paraboloide (e lo sono tuttora i concentratori dei radiotelescopi). Possiamo usare lo stesso principio per focalizzare i raggi X? In fondo, la legge della riflessione è la stessa per tutte le lunghezze d’onda. Eh, no…! Come dicevamo nella prima puntata, i raggi X non si possono riflettere in incidenza normale ma solamente in incidenza radente, ovvero a pochi gradi dalla superficie. Ma allora… invece di sfruttare la parte di parabola vicina al suo vertice, costruiamo un segmento del paraboloide molto più lontano dal vertice (Figura 2), che possiede ancora le stesse proprietà di focalizzazione ma allo stesso tempo opera in incidenza radente, consentendo così una efficienza di riflessione prossima al 100% e prendendo i due proverbiali piccioni con una fava. Chi dobbiamo ringraziare per questo colpo di genio?
Bene, per quando ne sappiamo, il primo a suggerire l’utilizzo di un concentratore parabolico in radenza per la luce solare fu il matematico milanese Bonaventura Cavalieri (Figura 3) nel suo libro Lo Specchio Ustorio, ovvero Trattato delle Settioni Coniche (1632). Ma si dovette aspettare, oltre alla scoperta dei raggi X, il 1960; anno in cui Riccardo Giacconi e Bruno Rossi proposero l’applicazione degli specchi parabolici radenti per realizzare l’ottica di un telescopio e così formare immagini del cielo nei raggi X. Tuttavia, c’è un prezzo da pagare, anzi tre (there is no such thing as a free lunch, dicono gli americani). Ci sono, infatti, ben tre problemi in questo disegno ottico: Per poter riflettere in maniera efficiente, l’angolo di incidenza deve essere inferiore all’angolo critico per la riflessione totale, perciò il fuoco si trova dalla parte opposta della sorgente, a una distanza di vari metri dallo specchio. Questo fa sì che il rivelatore debba essere montato a una uguale distanza dallo specchio, con evidenti problemi di ingombro nel satellite che trasporta il telescopio in orbita.
Il basso angolo di incidenza fa sì che lo specchio venga visto dalla sorgente quasi di profilo, quindi l’area di raccolta del singolo specchio è molto limitata perché solo un piccolo numero di raggi incontra lo specchio per essere focalizzato; per ovviare a tale problema, occorre “annidare” molti specchi uno dentro l’altro a “matrioska”, in modo da sfruttare in pieno l’apertura dell’ottica (Figura 4); ma questo comporta che gli specchi debbano essere sottili e leggeri per aumentare l’area di raccolta senza eccedere in massa: ricordiamoci infatti che questi telescopi vanno lanciati nello spazio.
Questo è il più grave (Figura 5): la focalizzazione è perfetta solo quando i raggi sono paralleli allo specchio, ma appena formano un piccolo angolo con l’asse, il fuoco si disperde rapidamente: è la cosiddetta aberrazione di coma. Solo la sorgente al centro del campo di vista del telescopio è a fuoco: tutto il resto risulta sfocato.[2] Detto altrimenti, le immagini astronomiche X che si possono realizzare con un semplice paraboloide in radenza sono minuscole e praticamente senza interesse scientifico.
Tutto inutile, allora? Certo che no. In realtà, la soluzione al problema era stata già trovata nel 1952 da Hans Wolter (Figura 6), un fisico tedesco che si era posto proprio il problema di come creare immagini nitide in un microscopio a raggi X, e ovviamente si era imbattuto nel problema dell’aberrazione di coma. A furia di pensarci, ecco l’illuminazione: il problema si sarebbe potuto risolvere non con una, ma con due riflessioni consecutive in incidenza radente, prima su una parabola e poi su un’altra conica (vedi Figura 7), a condizione di far coincidere i loro fuochi! Infatti, in tali condizioni le aberrazioni di coma hanno segno opposto e si cancellano quasi perfettamente. Wolter aveva appena compiuto il primo passo verso la realizzazione di un’ottica aplanatica, cioè esente da aberrazione sferica e di coma (Figura 8), anzi… compì tre passi perché fornì tre possibili soluzioni in tal senso, oggi note come Wolter-I, Wolter-II e Wolter-III. La geometria Wolter-I (Figura 7) è basata sulla riflessione radente prima all’interno di una parabola e poi di un’iperbole: il fuoco della parabola coincide col fuoco esterno dell’iperbole e i raggi vengono concentrati nel fuoco interno dell’iperbole, con l’ulteriore vantaggio che la focale viene dimezzata, risolvendo in parte anche il problema 1). Infatti, l’iperbole gode della interessante proprietà che i raggi i cui prolungamenti puntano verso un fuoco vengono riflessi sull’altro. Inoltre, i due segmenti di parabola e di iperbole possono essere contigui, anzi, possono proprio formare un unico specchio con un cambio di pendenza e conicità: perciò, questa geometria si presta molto bene per fabbricare specchi che possono essere annidati l’uno dentro l’altro per sfruttare lo spazio disponibile, aumentando l’area di raccolta, ovviamente tutti con lo stesso asse e tutti con lo stesso fuoco. Annidando vari specchi sostenuti da una struttura apposita a raggi che ricorda vagamente le zampe di un ragno e perciò detta “spider”, il risultato è un modulo ottico (Figura 9), ovvero un sistema per formare immagini su uno strumento sensibile ai raggi X (di imaging, oppure spettroscopia, oppure polarizzazione), posto nel piano focale. È questa la struttura base di un telescopio a raggi X, pronta al montaggio su un satellite insieme a tanti altri componenti che ne migliorano le prestazioni, detti collettivamente “auxiliary items”, ma su cui non ci soffermeremo. La Wolter-I è stata usata in praticamente tutti i telescopi a raggi X lanciati finora: per citarne solo alcuni, Einstein (lanciato nel 1978), ROSAT (1990), Beppo-SAX (1996), Chandra (1999), XMM-Newton (1999), Neil Gehrels Swift/XRT (2004), NuSTAR (2012), eROSITA (2019), IXPE (2021), e Einstein Probe (2024) di cui gli ultimi 7 sono tuttora operativi in orbita, e ovviamente ogni telescopio può montare più moduli ottici; per esempio, XMM e IXPE ne hanno 3 ed eROSITA ben 7 (Figura 10), ognuno che punta a un diverso strumento di piano focale. Avremo modo di tornare su questi telescopi, e sui differenti metodi per realizzare le ottiche. Ma intanto, notiamo che tramite la geometria Wolter-I è possibile aumentare il campo di vista di un telescopio fino a 1 grado nel caso di eROSITA (circa 2 volte il diametro angolare della Luna piena), e quindi a mappare ampie aree di cielo fino a eseguire una survey, ovvero un collage di immagini che mappa tutto il cielo. Fantastico, no? Eppure, si potrebbe fare ancora di meglio; dicevamo che le soluzioni trovate dal nostro Hans cancellano l’aberrazione di coma solo approssimativamente? Ebbene, pochi anni dopo lo stesso Wolter ritoccò le sue equazioni in modo da ottenere un sistema ottico perfettamente privo di coma, e quindi potenzialmente in grado di ampliare il suo campo di vista ancora di più, seguendo il metodo messo a punto da Karl Schwarzschild nel 1905 per specchi in incidenza normale, e perciò da allora chiamato sistema Wolter-Schwarzschild. Un esempio di telescopio a raggi X che userà questo schema ottico sarà NewAthena (il cui lancio è attualmente previsto nel 2037).
Per completezza, vi descrivo brevemente le altre due geometrie à la Wolter (ancora Figura 7). La Wolter-II è sempre basata su una prima riflessione in una parabola seguita da un’iperbole, ma stavolta la seconda riflessione si verifica sul lato convesso (all’esterno) dell’iperbole, con i raggi riflessi dalla parabola che puntano al fuoco interno dell’iperbole. In tal modo, i raggi vengono concentrati nel fuoco esterno dell’iperbole, cosa che allunga la focale oppure aumenta considerevolmente l’angolo di incidenza, con conseguente riduzione della riflettività, perciò la soluzione Wolter-II non è mai stata utilizzata per realizzare telescopi X. La Wolter-III (sempre Figura 7) è, se possibile, ancora più insolita: stavolta la prima riflessione avviene sul lato convesso della parabola, e in tal modo i raggi riflessi appaiono divergere dal suo fuoco anziché convergervi; si dice allora che il fuoco rappresenta una sorgente virtuale per i raggi. La seconda riflessione si verifica all’interno di uno specchio ellissoidale, di cui uno dei fuochi coincide con il fuoco della parabola, e la focalizzazione si verifica così nell’altro fuoco dell’ellisse. Questa è la soluzione che, al confronto delle altre due, comporta la focale più corta, perciò sarebbe la più vantaggiosa… se non fosse che la peculiare disposizione della parabola rende molto difficile annidare più specchi di questo tipo, quindi questo design è utilizzato raramente, e solamente per focalizzare raggi X prodotti da sorgenti a terra, quali i sincrotroni o i laser a elettroni liberi.
Allora, se mi avete seguito fin qui dovrebbe esservi sorta la curiosità di come si realizzano in pratica questi stranissimi specchi. E infatti, tra qualche puntata indagheremo i diversi metodi che si possono utilizzare per fabbricare specchi per telescopi X che siano sottili e leggeri, e che al tempo stesso mantengano con precisione la forma prescritta dal dottor Wolter. Ma prima, temo proprio che dovremo soffermarci a tracciare l’identikit del nemico numero 1 degli specchi a raggi X: un problema che può rendere perfino lo specchio dalla forma più Wolter del mondo totalmente inservibile… la microrugosità!!!
Letture consigliate:
Yamada, J., Matsuyama, S., Inoue, I. et al. “Extreme focusing of hard X-ray free-electron laser pulses enables 7 nm focus width and 1022 W cm−2 intensity” Nature Photonics 18, 685–690 (2024)
Hans Wolter, Annalen der Physik 10, 286 (1952)
R. Giacconi and B. Rossi, “A ‘Telescope’ for Soft X-ray Astronomy”, Journ. Of Geophys. Res., 773-775 (1960)
Van Speybroeck, L., Chase, R., “Design parameters of paraboloid-hyperboloid telescopes for X-ray astronomy,” Applied Optics 11(2), 440 (1972)
Chase, R., Van Speybroeck, L. “Wolter-Schwarzschild Telescopes for X-Ray Astronomy,” Applied Optics 12(5), 1042 (1973)
G. Pareschi, D. Spiga, and C. Pelliciari, “X-ray Telescopes Based on Wolter-I Optics,” Capitolo 1 di The WSPC Handbook of Astronomical Instrumentation (2021)
[1] Archimedes’ weapon, Time Magazine, 26 novembre 1973. Tuttavia, l’esperimento – con esito più o meno positivo – è stato ripetuto da molti altri ricercatori fino a tempi più recenti, fino al 2010 per ordine … nientemeno che del Presidente USA Barack Obama!
[2] Per inciso, questo è un altro motivo che rende la storia degli specchi di Archimede poco credibile: per concentrare efficacemente i raggi solari, la nave bersaglio avrebbe dovuto trovarsi esattamente sulla linea tra il Sole e lo specchio! Decisamente, sarebbe stato pretendere un po’ troppa collaborazione da parte della flotta romana….










