Maria Rosa Panzera

Maria Rosa Panzera

Astrocuriosità | dicembre 2024 – Zibaldone astronomico

La curiosità del mese a cura di Luigi Foschini Dicembre è per tradizione un mese leggero, ricco di feste e di bilanci. Pertanto, ho pensato di scrivere queste note con la leggerezza dello spirito natalizio. Non c’è un tema in particolare, ma una piccola raccolta di fatti curiosi legati all’astronomia. L’astronomia è una scienza che si basa sulla raccolta di luce da oggetti cosmici. Studiando ed elaborando la radiazione luminosa è possibile dire qualcosa a proposito di stelle e galassie. La luminosità è quindi una quantità fondamentale in astronomia e i telescopi sono progettati per raccogliere ogni singolo fotone proveniente da oggetti sempre più lontani e deboli. Ma vi siete mai chiesti quanto è luminoso un essere umano? Qualunque corpo fisico dotato di una temperatura emette radiazione elettromagnetica. Pensate, per esempio, al metallo che diventa incandescente quando supera la temperatura di ~525°C. A questa temperatura, la radiazione è visibile dall’occhio umano, mentre per temperature inferiori, la radiazione si sposta a lunghezze d’onda maggiori, verso l’infrarosso, invisibile ai nostri occhi e per cui occorrono appositi strumenti. La temperatura del corpo umano sano è di circa 37°C, per cui noi emettiamo radiazione infrarossa (Fig. 1). Il calore è generato dal nostro metabolismo basale, ovvero mangiamo per rifornirci di energia che alimenta i nostri organi. Tanto per avere un’idea e considerando i valori medi della popolazione italiana, un maschio ha bisogno di circa 1700 kcal/giorno (l’equivalente di circa 315 g di Nutella), mentre per una femmina sono sufficienti 1293 kcal/giorno (ovvero circa 240 g della gustosa crema al cioccolato). Per calcolare la luminosità di un essere umano, bisogna usare la legge di Stefan-Boltzmann, secondo cui tale quantità è legata alla temperatura e all’area della superficie emittente. La temperatura già la conosciamo (37°C), ma dobbiamo convertirla in gradi Kelvin, ovvero in temperatura assoluta. Sapendo […]

Astrocuriosità | novembre 2024 – Energia atomica

Fotografia in bianco e nero di una nuvola a forma di fungo, che si forma durante l'esplosione di un test nucleare. La nuvola si erge sopra il paesaggio con il cielo e le nuvole circostanti. Il testo 'ASTROCURIOSITÀ' è visibile in alto a destra su uno sfondo arancione.
La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini È impossibile parlare dell’energia atomica senza ricordare la tragedie di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945) e senza ricordare il tragico fungo atomico. Ciononostante, cerchiamo di riassumere la storia di come si è riusciti a capire come il nucleo dell’atomo contenesse una quantità enorme di energia e come la si potesse liberare. Possiamo iniziare la nostra storia a Roma, in via Panisperna, dove Enrico Fermi e i suoi i ragazzi stavano rivoluzionando la fisica italiana. Era il 1934, e stavano tentando di vedere cosa succedeva bombardando i nuclei di tutti gli elementi, uno alla volta, quando venivano bombardati dai neutroni. L’idea era di sparare dei neutroni contro il nucleo, sperando di trasformare il nucleo in un elemento radio-attivo. Non erano i soli: a Parigi c’erano Irene e Frederick Joliot-Curie, e a Berlino c’erano Lise Meitner e Otto Hahn: tutti studiavano la radioattività. Enrico Fermi, in quegli anni, fa una scoperta epocale: i proiettili migliori per bombardare il nucleo atomico non sono i neutroni veloci, ma quelli lenti. Succede una mattina in cui i suoi “ragazzi” erano occupati a tenere delle lezioni all’Università, e toccava quindi a Fermi di condurre gli esperimenti. Lui era metodico, e aveva deciso di provare a bombardare tutti gli elementi, uno alla volta. Ma quella mattina è preso da una intuizione inconscia, e tra il “cannone” di neutroni e l’elemento da bombardare inserisce un pezzo di paraffina. Subito l’elemento bombardato reagisce violentemente. Poco prima di pranzo i suoi ragazzi tornano dalle lezioni e Fermi gli fa vedere cosa sta ottenendo. Eccitati, cominciano a discutere, ma Fermi dice: “Andiamo a pranzo”. Nel primo pomeriggio si riuniscono di nuovo e Fermi spiega cosa sta succedendo: la paraffina, che è ricca di idrogeno, ha interagito con i neutroni, […]

Astrocuriosità | ottobre 2024 – La scienza con i supereroi: su Marte con Atomo

La curiosità del mese a cura di Gianluigi Filippelli All’interno delle proposte didattiche dell’Osservatorio, in particolare nella sua sede storica di Brera, sono presenti una serie di conferenze, tenute da chi vi scrive, sulla scienza raccontata tramite i fumetti. In particolare all’interno di questo vasto argomento, cui dedico un blog sul network del magazine di critica fumettistica Lo Spazio Bianco, mi concentro soprattutto sul vasto tema de La scienza con i supereroi, cui è dedicato la curiosità di questo mese. Quanto state per leggere è, allo stesso tempo, solo una parte della conferenza Justice in Space, che ha avuto l’onore di esordire ufficialmente a Lucca Comics 2023. Il viaggio che stiamo per intraprendere ci porterà sulla superficie di Marte, ma per compierlo nel modo migliore possibile, consentitemi di introdurre il supereroe che ci accompagnerà: Atomo. Piccolo combattenteCreato da Bill O’Connor e Ben Flinton, Atomo ha esordito su All-American Comics #19 dell’ottobre del 1940. All’inizio era un semplice ex-pugile, Al Pratt, che decise di indossare un costume da supereroe per combattere il crimine. Più avanti divenne membro fondatore della Justice Society of America, il primo supergruppo della storia dei fumetti supereroistici. Ideata da Gardner Fox e Sheldon Mayer, la JAS esordì sulle pagine di All-Star Comics #3, albo datato inverno 1940. La formazione originale era costituita, in ordine sparso, da Atomo, Dottor Fate, Flash, Lanterna Verde, Hawkman, Hourman, Sandman, Lo Spettro e Johnny Thunder. Quasi la metà di questi personaggi erano stati creati proprio dallo stesso Fox, e molti di loroavevano esordito proprio sugli albi antologici All-American Comics e All-Star Comics. Delle molte avventure degli esordi, ci interessa in particolare quella su All-Star Comics #13, quando i nazisti spedirono i componenti del supergruppo sugli 8 pianeti del Sistema Solare. Quell’8, però, non è un errore: all’epoca, infatti, Plutone, che era stato […]

Astrocuriosità | settembre 2024 – Come sopravvivere alla morte del Sole: corso base accelerato

La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga Quante volte abbiamo rischiato l’estinzione? Non le ho contate tutte, ma sono state tante: tra epidemie, carestie, catastrofi naturali, la popolazione di Homo Sapiens su questo pianeta è stata ridotta molte volte di numero, quasi al punto da non riuscire più a riprendersi. E la prova, per quanto possa sembrare strano, sta nel fatto che solo lo 0.1% dei nostri geni varia da un individuo all’altro, ovvero discendiamo da pochi progenitori sopravvissuti in tempi remoti (il cosiddetto effetto collo di bottiglia genetico). E se ora la medicina e la tecnologia ci hanno messo abbastanza al riparo dalle prime due minacce, il fatto di disporre di un arsenale di più di 13000 testate nucleari potrebbe rendere piuttosto facile porre fine in pochi giorni alla nostra esistenza su questo pianeta. E anche qui, potremmo contare le volte che ci siamo arrivati vicini per sbaglio. E per non parlare del riscaldamento globale, che potrebbe renderlo inabitabile – sempre per mano nostra – nel giro di pochi secoli. E poi, ci sono le minacce che vengono dall’interno della Terra (eruzioni di super-vulcani) e dallo spazio: impatti di asteroidi, esplosioni di supernove vicine, Gamma Ray Burst, tutti fenomeni che hanno molto probabilmente causato svariate estinzioni di massa nei 4.5 miliardi di storia della Terra: la prossima volta potrebbe toccare a noi. Ma supponiamo per un attimo di essere stati così in gamba da essere riusciti a deviare tutti gli asteroidi e le comete in rotta di collisione con la nostra Terra. E anche di avere risolto i problemi del riscaldamento globale, della corsa agli armamenti, della sovrappopolazione, dell’approvvigionamento energetico… potremo dire di avere garantito la sopravvivenza perpetua alla nostra specie? Purtroppo no. E la minaccia definitiva arriva proprio dalla stella che ci dona la vita ogni […]

Astrocuriosità | luglio 2024 – Il costo del tempo

La curiosità del mese a cura di Luigi Foschini Interstellar (SPOILER ALERT!) è un film di fantascienza del 2014 diretto da Christopher Nolan e interpretato, tra gli altri, da Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Matt Damon e Michael Caine. Il film si è avvalso della consulenza scientifica di Kip Thorne fisico teorico statunitense (premio Nobel per la fisica nel 2017, per l’osservazione delle onde gravitazionali). È un film molto bello, dove la scienza viene estrapolata con saggia fantasia, tanto che potrebbe essere uno standard per la moderna divulgazione scientifica. Se non lo avete mai visto, ve lo consiglio di cuore. E per chi ha difficoltà a comprendere le parti scientifiche, c’è il bel libro di Kip Thorne che spiega la scienza alla base del film, suddividendola molto saggiamente in tre parti: quella consolidata, quella incerta di frontiera e quella che è allo stadio di speculazione. Il tema scientifico centrale del film è la relatività del tempo e l’impatto che può avere sulla vita umana, se un giorno gli esseri umani riusciranno a viaggiare nello spazio interstellare. L’astronauta Joseph Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, parte dalla Terra che ha 34 anni e ritorna che ne ha 124, mentre sua figlia Murph (Jessica Chastain) ha quasi 10 anni quando lui parte e lo rincontra sul letto di morte a 99 anni. Ma Cooper è ancora giovane, perché per lui sono trascorsi pochi anni dalla partenza. Il ritmo del tempo è stato differente per padre e figlia, perché il padre è stato vicino a un buco nero, che nel film è chiamato Gargantua (fig. 1), in onore del protagonista insaziabile di un romanzo di François Rabelais. Per capire perché cambia il ritmo del tempo è necessario fare alcuni semplici conti. Non spaventatevi, perché è sufficiente la conoscenza delle quattro operazioni. Consideriamo un […]

Astrocuriosità | giugno 2024 – Henrietta Swan Leavitt: misurare l’Universo

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini Henrietta Swan Leavitt nasce a Lancaster, nel Massachusetts, nel 1868 da Henrietta Swan Kendrick, e George Leavitt, un pastore protestante congregazionista. È la prima di 7 fratelli (ma due moriranno da piccoli). La sua famiglia non è ricca, ma benestante, e ha la fortuna di avere due genitori che impartiscono una ottima educazione sia ai figli maschi che alle femmine. Dopo le scuole superiori vorrebbe frequentare l’Università, ma in America a quel tempo le università sono solo maschili, tranne pochi istituti di livello universitario che potevano essere frequentati solo da donne. Uno di questi è il Radcliffe College, che Henrietta frequenta per laurearsi in studi umanistici. Ma al quarto anno di università frequenta dei corsi di astronomia, e si innamora della materia. Si laurea nel 1892 (a 24 anni) e trova un posto di assistente al Beloit College, in Wisconsin. Nel 1895 si offre come volontaria (non pagata) all’Harvard College Observatory, diretto allora da Edward Pickering. Questo osservatorio aveva uno sterminato archivio di lastre fotografiche del cielo, e il progetto di Pickering era di realizzare un catalogo di tutte le stelle osservate (circa mezzo milione). Era convinto che le donne fossero più dotate degli uomini per questo genere di lavoro, che richiedeva meticolosità anche se era noioso. Ma probabilmente la vera ragione era che Pickering poteva pagarle la metà di quello che avrebbe dato a un uomo.  In quegli anni Henrietta soffre di una infezione grave, che la rende sorda. Negli anni in cui Pickering è stato direttore, ha assunto più di cinquanta donne, che erano chiamate ufficialmente le donne calcolatrici e scherzosamente l’Harem di Pickering. Nel 1902 dopo anni di lavoro gratis, ottiene di ricevere un salario di 30 centesimi di dollaro l’ora, e Pickering le assegna il compito di […]

Astrocuriosità | maggio 2024 – Risonanze cosmiche

La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga Risale al filosofo greco Pitagora (VI sec. a.C.) l’idea che il Cosmo (parola che in greco significa infatti “ordine”) sia un sistema perfettamente organizzato, basato sulla forma sferica e sul moto circolare, garanzia di stabilità ed eterno ritorno alle origini. Pitagora aveva infatti due grandi passioni: i numeri interi e la musica, e nella sua visione le due nozioni si fondevano per spiegare l’armonia dell’Universo. Infatti, Pitagora si era accorto che le lunghezze delle corde di una cetra (di uguale spessore e tensione), per essere in accordo fra loro, dovevano seguire combinazioni di rapporti di numeri interi piccoli, come 3:4 (intervallo di quarta) e 2:3 (intervallo di quinta). Pitagora non se ne rendeva esattamente conto, ma questo accade perché le corde possono vibrare non soltanto alla frequenza fondamentale che dà il nome alla nota, ma anche a tutti i suoi multipli (detti armonici). Quando le due corde hanno una di queste frequenze in comune, possono risuonare, ovvero comunicarsi la vibrazione a distanza. Volete verificarlo? Non serve che andiate online a ordinare una cetra… prendete una chitarra ben accordata, pizzicate con forza la corda più sottile, il Mi cantino (329.6 Hz), e fermatela subito: sentirete un’eco della stessa nota provenire dalla corda più spessa, il Mi basso, che è intonato due ottave sotto (82.4 Hz). Il motivo è che il Mi basso può vibrare anche al quarto armonico, cioè a una frequenza quattro volte più alta, che è sempre un Mi, ma due ottave sopra e che perciò è entrato in risonanza con il Mi cantino. Alla fine del XVII secolo, la scala musicale basata su rapporti frazionari tra frequenze fu abbandonata in favore del sistema che usiamo tuttora oggi (detto temperamento equabile, basato su frequenze con rapporti irrazionali). Ma il concetto […]

Astrocuriosità | aprile 2024 – Il Grande Annichilatore

La curiosità del mese a cura di Luigi Foschini La curiosità di questo mese riguarda un oggetto compatto particolare, dal pittoresco nome Grande Annichilatore, che si trova dalle parti del centro della Via Lattea (Fig. 1). Il nome astronomico è invece 1E 1740.7-2942, dove 1E sta per la prima versione del catalogo delle sorgenti cosmiche osservate dal satellite Einstein, mentre gli altri numeri indicano le coordinate astronomiche riferite all’anno 1950: quindi, 1740.7 vuol dire ascensione retta 17h 40.7m e -2942 sta per declinazione -29° 42′. Einstein era il secondo di una serie di tre satelliti della NASA dedicati all’astrofisica delle alte energie (High-Energy Astrophysical Observatory HEAO-2, 1978-1981) e rinominato in onore del celebre scienziato ebreo Albert Einstein (14 marzo 1879 – 18 aprile 1955). Il satellite aveva quattro strumenti per le osservazioni ai raggi X con energia tra 0.2-20 keV (per confronto, pensate che l’occhio umano è sensibile a fotoni con energia di circa 1 eV) e fu il primo satellite a ottenere immagini a tali energie. Parte del tempo di osservazione fu dedicata a mappare il centro della Via Lattea e i risultati di queste osservazioni furono pubblicati nel 1984 da P. Hertz e J. Grindlay. In questo articolo comparve per la prima volta questa sorgente, ma non suscitò particolare attenzione. Peraltro, 1E 1740.7-2942 si trova in prossimità del centro Galattico, dove la presenza di grandi quantità di materia interstellare assorbe la luce visibile, per cui è estremamente difficile trovare la controparte ottica, che rimane tutt’ora incerta. La sorpresa arrivò nel 1990, quando il centro della Via Lattea fu osservato nuovamente dal satellite sovietico GRANAT (1989-1998). A bordo aveva diversi strumenti, tra cui anche apparecchi francesi e danesi, operanti ai raggi X e raggi gamma (2 keV – 100 MeV). In particolare, il telescopio francese SIGMA (30 keV – […]

Astrocuriosità | marzo 2024 – Universo pi greco

La curiosità del mese a cura di Gianluigi Filippelli “Esplorare il pi greco è come esplorare l’universo.” David Chudnovsky Il 14 marzo, meglio noto in ambienti matematici come pi day, si avvicina, per cui in questa nuova astrocuriosità, proveremo a capire il legame tra il pi greco, il numero più famoso del mondo, e l’astronomia. Virgola dopo virgolaIl pi greco, (\pi), è definito come il rapporto tra la circonferenza e il suo diametro. Vale 3.1415 e un numero infinito di cifre. E sin dagli albori della matematica, i matematici hanno cercato di calcolarne le sue cifre,prima per usi pratici e poi semplicemente per il senso della sfida che tale impresa evoca. In questa quasi ossessiva ricerca, il record delle cifre decimali del pi greco è datato 21 marzo del 2022, quando EmmaHaruka Iwao dopo 158 giorni di calcolo trovò ben 100000000000000 cifre dopo la virgola. Per ottenere questo risultato la ricercatrice ha utilizzato l’algoritmo di Chudnovsky, un metodo particolarmente rapido per il calcolo delle cifre decimali del (\pi) basato su una delle formule di Srinivasa Ramanujan e sviluppato nel 1987 dai fratelli David e Grigorij Vol’fovič Čudnovskij. Dei due fratelli, quello che viene considerato il più geniale è Gregory, più piccolo di David di 5 anni. Nati entrambi a Kiev quando ancora l’Ucraina facevaparte dell’Unione Sovietica, riuscirono a fuggire sia grazie allo stato di salute di Gregory, affetto da miastenia gravis, sia grazie all’aiuto di due importanti personalità statunitensi dell’epoca, il senatore Henry Jackson e il matematico Edwin Hewitt. Le informazioni biografiche sui due fratelli e sulla loro vita negli Stati Uniti sono piuttosto scarne: i due si sono sempre mantenuti lontani dai riflettori, probabilmente pervia della malattia di Gregory, ma forse anche per una certa mancanza di specializzazione matematica. Gli interessi di ricerca dei due fratelli includevano, infatti, la […]