La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini
Incontri ravvicinati del terzo tipo
No, non vi parlo di alieni che sbarcano sulla Terra, ma delle onde gravitazionali arrivate sulla Terra dopo un viaggio di quasi un miliardo di anni nel gennaio del 2020. In queste onde era registrato l’urlo di una catastrofe cosmica.
Sono anni d’oro per l’astronomia e per la scienza in generale. Pensate: negli ultimi anni abbiamo scoperto migliaia di pianeti extrasolari, il bosone di Higgs, abbiamo fatto la prima foto di un buco nero, individuato dei neutrini provenire da altre galassie e infine siamo riusciti a rivelare le onde gravitazionali, un’impresa che sembrava impossibile anche ad Einstein che per un periodo della sua vita rimase scettico perfino sulla possibilità della loro esistenza.
Era il 14 settembre del 2015: a pochi giorni dall’entrata in funzione delle antenne americane LIGO (Laser Interferometry Gravitational wave Observatory) il segnale tanto atteso apparve sugli schermi dei computer degli scienziati. Perfetto, e così forte da lasciare interdetti. E infatti si pensò ad un segnale finto, fatto trapelare ad arte per testare le capacità degli scienziati. E invece no. Era vero. Era come assistere in “diretta” allo scontro di due buchi neri che si fondevano in un buco nero più grande. In “diretta” per modo di dire, perché le onde gravitazionali, che viaggiano alla velocità della luce, avevano impiegato più di un miliardo di anni ad arrivare fino a noi. Standing ovation per la relatività generale, formulata esattamente un secolo prima.
Ma come mai c’è voluto così tanto tempo per riuscire a scoprirle? Perché le onde gravitazionali sono elusive: sono un’increspatura dello spazio tempo… Come le onde create da un sasso che cade in uno stagno. In questo caso le onde sono fatte di acqua, mentre nel caso delle onde gravitazionali le onde sono fatte di spaziotempo.
Pensiamo a due bandierine poste a qualche km di distanza: quando passa l’onda la loro distanza viene perturbata, cioè cambia… Ma sapete di quanto cambia? Della millesima parte della dimensione di un protone. Incredibile no? Eppure siamo riusciti a misurarla.
Assistere allo scontro e alla fusione di due buchi neri è come sentire il sonoro di un film senza poter vedere le immagini. I buchi neri sono davvero neri, e quindi non emettono luce. Nello scontro producono una quantità di energia immensa, ma rimangono invisibili. Li sentiamo, ma non li vediamo.
Gli scontri e le fusioni di buchi neri sono i fenomeni più frequenti che le antenne gravitazionali riescono a “sentire”: sono gli incontri ravvicinati con l’universo violento, gli incontri del primo tipo.
E il secondo tipo cos’è? È quello che abbiamo visto il 17 agosto del 2017. Dalle antenne gravitazionali americane LIGO e dall’antenna italiana VIRGO è partito un allarme a tutto il mondo: le masse dei corpi che si erano scontrati e fusi erano troppo piccole per essere dei buchi neri. Potevano essere delle stelle di neutroni. Le stelle di neutroni sono tremende concentrazioni di massa, come se il Sole si rimpicciolisse fino a poter stare dentro la circonvallazione esterna di Milano, o dentro il grande raccordo anulare di Roma: 10 km di raggio. Se prendeste un cucchiaino di stella di neutroni e lo metteste su una bilancia sulla Terra peserebbe un miliardo di tonnellate. Numeri immensi, gravità enorme, e tuttavia non così estrema come nel caso dei buchi neri. Dalle stelle di neutroni la luce riesce a scappare, non è imprigionata. E quindi, quando due stelle di neutroni si scontrano, possiamo vedere qualcosa, fino a quando, fondendosi, formano un buco nero, e il film finisce. Una delle due stelle di neutroni, prima di fondersi, si squarcia e si rompe, mettendo a nudo il suo interno, dal quale un po’ di massa fugge, sospinta dell’enorme energia che si sprigiona in pochi millisecondi. Non è tanta: è qualche percento della massa totale, ma è sufficiente per creare una supernova in “sedicesimi” e a formare tutti gli elementi pesanti. E la sua luce ci arriva. Infatti tutti i telescopi del mondo e tutti i satelliti, il 17 agosto 2017 e i giorni successivi, erano puntati nella stessa direzione. E abbiamo finalmente potuto assistere al film completo dell’evento cosmico: immagini e suoni…
Manca il terzo tipo: lo scontro tra una stella di neutroni e un buco nero. Ed è questo che abbiamo rivelato la prima volta il 5 gennaio 2020, e la natura è stata così gentile da offrire una replica 10 giorni dopo, per gli scienziati più distratti. Aspettavamo questo evento da anni e ne abbiamo rivelati due in pochi giorni. Scherzi della statistica… Il segnale gravitazionale è inequivocabile: il 5 gennaio abbiamo assistito allo scontro di una stella di neutroni di 1,9 volte la massa del sole con un buco nero di circa 8,9 masse solari. Il 15 gennaio, invece, una stella di neutroni di circa 1,5 masse solari si è scontrata e fusa con un buco nero di 5,7 masse solari. Il primo sistema si trovava a circa 900 milioni di anni luce da noi, mentre il secondo a circa un miliardo di anni luce.
E la luce? Siamo riusciti, in questo caso, a ricevere le immagini? Abbiamo il film completo di video e sonoro? Purtroppo no. Nonostante gli sforzi, nessun telescopio ha visto niente. Ma come, direte voi, possibile che una stella di neutroni non si lasci scappare un po’ di luce, mentre si scontra con un buco nero?
Per quanto strano possa sembrare, questo è possibile. Se il buco nero ha una massa appena appena grandicella, allora si mangia la stella di neutroni in un boccone solo, senza prima squarciarla. Capire questo fenomeno non è semplicissimo, ma ci provo.
Pensiamo alla stella di neutroni che si sta avvicinando al buco nero: la parte della stella più vicina al buco nero sente una forza di gravità molto grande, e la parte più lontana dal buco nero sente una forza di gravità un po’ minore (forze mareali). L’effetto di queste due forze diseguali fa sì che la stella di neutroni si senta “stirata” – spaghettification il termine coniato in inglese – (da una forza che corrisponde alla differenza tra le due). Più la stella di neutroni può avvicinarsi al buco nero, e più lo stiramento è grande. Ma c’è un limite oltre il quale la stella di neutroni non può avvicinarsi… Se oltrepassa questo limite, anche se si spacca non ce ne accorgiamo, perchè anche la luce viene imprigionata: i pezzi della stella di neutroni e la luce non possono fare altro che cadere nel gorgo del buco nero. Ora: per buchi neri con tanta massa, la distanza limite è grande, ma se siamo a grande distanza dal buco nero lo stiramento è poco, e la stella di neutroni non si rompe. Se, al contrario, la massa del buco nero è relativamente piccola, allora la stella di neutroni può avvicinarsi molto al centro del buco nero e tuttavia essere al di fuori della distanza limite: quindi si può spaccare e noi possiamo raccogliere la luce di questo evento…
Quindi ci deve essere un incontro ravvicinato del quarto tipo, quello in cui la stella di neutroni si spacca prima di oltrepassare la distanza di non ritorno, e riesce a produrre della radiazione e mandarci un film di questo evento… Rimaniamo in attesa, vigili.