La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga
Una storia di perseveranza[1] alla ricerca della vita su Marte (Daniele SPIGA, INAF-OAB)
[1] Dal vocabolario Treccani: “Costanza e fermezza nel perseguire i propri scopi o nel tener fede ai propri propositi, nel proseguire sulla via intrapresa o nella condotta scelta”.
Esistono i Marziani? Se lo aveste chiesto a una buona parte degli astronomi fino al novembre 1964, vi avrebbero probabilmente risposto: “che razza di domanda, ma certo che sì”.
Proprio in quel mese, la sonda NASA Mariner 4 passa vicino a Marte e assesta un duro colpo alla convinzione allora diffusa che il Pianeta Rosso, se non proprio popolato da Omini Verdi, dovesse ospitare una vita rigogliosa.
Visto da vicino, Marte mostra un aspetto arido e sterile, con calotte polari di ghiaccio secco, una tenue atmosfera (1/200 di quella terrestre) fatta di anidride carbonica, azoto, e argon, permanentemente sotto -15 °C. Insomma, assomiglia un po’ ai deserti australiani, ma senza nemmeno scorpioni e serpenti, e fa pure un freddo cane. Che delusione.
Storia chiusa? Nemmeno per idea, perché gli scienziati non si accontentano mai delle risposte, ma vanno a cercare subito altre domande. Insomma, perseverano. Ed eccoli, un decennio più tardi, spedire su Marte altre due sonde: le Viking 1 e 2, che questa volta si appoggiano sul terreno marziano e si mettono a cercare i segni di vita in forma microscopica: batteri o protozoi, insomma. Dopotutto, Marte ha perso acqua e atmosfera quando sulla Terra la vita era ancora a questo stadio, e quindi lì deve essersi fermata. I risultati sono interessanti ma non conclusivi, e così i ricercatori continuano a perseverare.
Dopo un po’ alla NASA si affianca l’URSS (con scarso successo) e poi l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea. Più di recente si sono aggiunti India, Cina, ed Emirati Arabi. E così, a partire dagli anni ’90, riusciamo a mappare e studiare Marte da tutti i lati (sonde orbitanti Mars Global Surveyor, Mars Odissey, Mars Reconnaissance Orbiter, Mars Express), facciamo atterrare i lander Phoenix (2008) e InSight (2018), e ben 4 rover, cioè laboratori scientifici su quattro ruote radiocomandati, sempre più grandi ed evoluti: Mars Pathfinder (1997), poi le sonde gemelle Spirit e Opportunity (2004), e Curiosity (2012). Tutti nomi che la dicono lunga sulla voglia che abbiamo di scoprire cose nuove; e per essere più sicuri di scoprirne davvero tante, abbiamo lanciato delle sonde ogni 2 anni e 2 mesi (la cosiddetta finestra di lancio), ovvero ogni volta che Terra e Marte erano nella posizione ottimale. E pensate che in media fallivano due missioni su tre.
Comunque, la perseveranza dà i suoi frutti: Phoenix trova ghiaccio d’acqua poco sotto la sabbia; Spirit e Opportunity trovano un minerale di ferro, l’ematite, che si forma solo in presenza di acqua liquida, confermando che fino a 3 miliardi di anni fa Marte doveva avere laghi, fiumi e oceani; Curiosity trova nell’atmosfera un po’ di metano e ossigeno con variazioni stagionali (che potrebbero essere prodotti da organismi viventi) e molecole organiche, fra cui idrocarburi aromatici, cioè con molecole carboniose ad anello, che sulla Terra sono perlopiù di origine biologica (magari fossile, pensate al petrolio). Ci riteniamo soddisfatti?
Neanche per sogno. Il 30 luglio 2020, pur in piena pandemia, la NASA lancia con un razzo Atlas Centaur la missione Mars 2020, con a bordo un rover per rintracciare la vita su Marte. Il rover è equipaggiato con una fotocamera a 3D, uno spettrometro ultravioletto, uno a raggi X, e uno laser per l’analisi dei minerali, una stazione meteorologica, un drone, un dispositivo per produrre ossigeno a partire dalla CO2 atmosferica, e una targhetta con i nomi di quasi 11 milioni di abitanti del Pianeta Terra. Ed ha un nome scelto da Alexander Mather, un ragazzo di 13 anni della Virginia: Perseverance.
Il 18 febbraio 2021, dopo un viaggio durato quasi 7 mesi, Perseverance inizia la discesa verso il suo obbiettivo, il cratere Jezero ai margini della Isidis Planitia, attraverso la rarefatta atmosfera marziana.
L’attesa è spasmodica in tutto il mondo: la discesa impiegherà 7 minuti, ma il rover dovrà fare tutto da solo. Alla NASA li chiamano “i 7 minuti di terrore”. Infatti, i segnali impiegano 11 minuti per coprire i 200 milioni di km che ci separano da Marte, quindi sapremo solo a cose fatte se tutto è andato liscio o se la sonda si è schiantata al suolo (come tristemente avvenne al lander Schiaparelli nel 2016).
Ma questa volta va tutto per il meglio: protetto da uno scudo termico, Perseverance viene frenato dall’attrito atmosferico, dalla velocità orbitale di 19000 km/h fino a soli 1600 km/h. È ancora a 12 km dal suolo quando apre il paracadute supersonico, che lo guida fino a 3.5 km dal suolo. Nel frattempo, la sonda orbitante MRO lo scorge e lo fotografa mentre scende attaccato al suo paracadute La discesa non è alla cieca: il computer di bordo, collegato a una telecamera, cerca il posto più adatto per un atterraggio sicuro. A un minuto dal touchdown, lo stadio di discesa con il rover si sgancia dal paracadute e attiva i razzi che lo portano a fermarsi a 20 m dal terreno, e lì, lo cala delicatamente tramite dei cavi che vengono tagliati appena il rover tocca il suolo.
Pochi secondi dopo, Perseverance ci invia la prima foto dal Pianeta Rosso. Significa: “Sono arrivato. Tutto bene”. Benvenuto su Marte, Percy. Ci attendiamo grandi cose da te.
“We are a species of explorers, and we will meet many setbacks on the way to Mars. However, we can persevere. We, not as a nation but as humans, will not give up. The human race will always persevere into the future.”
(dal tema di Alexander Mather, scelto tra altri 28000 per dare il nome al rover Mars 2020)
Link per approfondire:
una simulazione interattiva dell’atterraggio del rover:
La pagina dedicata a Marte di EDU INAF:
https://edu.inaf.it/astrodidattica/ammartaggio/
La pagina NASA dedicata alla descrizione del rover:
https://mars.nasa.gov/mars2020/spacecraft/instruments/
La galleria di immagini, aggiornata in tempo reale: