La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini
Ma se i buchi neri sono neri, come facciamo a vederli?
Questa domanda mi fa venire in mente un vecchio indovinello.
C’è una persona di colore, vestita di nero, con i guanti neri, un cappello nero e gli occhiali scuri.
Sta attraversando una strada ricoperta di asfalto nero.
I lampioni sono spenti, così come le vetrine dei negozi.
Voi state guidando a fari spenti e riuscite ad evitarlo.
Come fate?
Perplessi? Ma è giorno!
Per i buchi neri è lo stesso.
Non li vediamo direttamente ma li vediamo come silhouette nere su uno sfondo luminoso.
O meglio, finora abbiamo visto un solo buco nero, quello supermassiccio al centro della galassia M87, a sua volta al centro dell’ammasso di galassie della Vergine.
Un mostro di 6 miliardi e mezzo di masse solari.
Attorno a questo buco nero c’è della materia che gli sta cadendo lentamente dentro, spiraleggiando, e inoltre nelle vicinanze del buco nero si sta formando un getto di materia.
Nella foto del secolo, come è stata chiamata, vediamo un anello luminoso con al centro una macchia nera.
È questa macchia la silhouette del buco nero.
Perché è proprio vero che un buco nero è nero. La sua gravità estrema non permette alla luce di allontanarsi dal buco nero stesso, anzi, la luce viene trascinata verso il suo centro, dove si annida il mostro: la singolarità.
Al raggio di non ritorno del buco nero che possiamo chiamare orizzonte degli eventi o raggio di Schwarzschild, c’è un cartello:
“Lasciate ogni speranza o voi che entrate”
che vale per tutti, anche per la luce.
Potreste avere i motori più potenti del mondo, ma non vi servirebbero.
Voi, la vostra astronave, i vostri motori e perfino la luce dei vostri fari sarebbero obbligati a cadere verso la singolarità.
Voi potreste ancora ricevere le informazioni dall’Universo esterno, per il breve periodo in cui riuscite ad essere ancora vivi.
Ma la vostra vita, mentre cadete verso il centro, durerebbe molto poco.
E anche se tentaste di chiamare aiuto, nessuno potrebbe ascoltarvi.
I vostri segnali non potrebbero uscire.
E pensare che prima degli anni Sessanta del secolo scorso tanti scienziati non credevano che i buchi neri potessero esistere.
Si rifiutavano di pensare che la Natura potesse creare dei mostri così bizzarri.
Pregiudizi destinati a essere smentiti.
La Natura ha molta più immaginazione dell’uomo, e nel 1963 furono scoperti i quasar, sorgenti poste al centro di alcune galassie, capaci di emettere anche migliaia di volte la luce prodotta dall’intera galassia che li ospita.
A quei tempi il meccanismo più efficiente conosciuto per produrre la luce erano le reazioni termonucleari che avvengono all’interno delle stelle, ma non si potevano mettere miliardi di stelle in uno spazio grande come il sistema solare.
Si doveva trovare qualcosa di radicalmente diverso e più efficiente.
E in pochi anni scienziati russi, americani e inglesi, indipendentemente, pensarono di usare la gravità prodotta da un buco nero enorme, che attirava un sacco di materia, la comprimeva e scaldava, fino a farle emettere la luce che osserviamo.
Il buco nero rimaneva nero, ma la materia che gli cadeva addosso era estremamente luminosa.
È proprio bizzarro che l’oggetto più nero dell’Universo produca le sorgenti più luminose.
Ma le sorprese non erano finite. Il 14 settembre 2015 le antenne gravitazionali (2 negli Stati Uniti e una in Italia, a Cascina, vicino a Pisa) rivelavano per la prima volta nella storia dell’umanità le onde gravitazionali.
Un risultato eccezionale arrivato giusto in tempo per celebrare i cento anni della relatività generale, che Einstein ha finito nel Novembre del 1915.
Si trattava della fusione di due buchi neri da una trentina di masse solari ciascuno, che negli ultimi istanti della loro danza uno intorno all’altro hanno prodotto delle onde gravitazionali che hanno viaggiato per circa un miliardo di anni prima di arrivare alla Terra.
Dopo il loro ultimo ballo, i due buchi neri si sono uniti e fusi in uno solo, e la produzione di onde è cessata. Non dovete però pensare che le onde siano state prodotte da “dentro” i buchi neri.
Provengono da appena fuori il raggio di non ritorno o raggio di Schwarzschild ed è per questo che riescono a raggiungerci.
Quindi è vero: i buchi neri rimangono neri, ma si fanno riconoscere lo stesso e anzi, con le loro onde gravitazionali hanno aperto un campo di indagine nuovo per studiare l’Universo, che non usa la luce e che sarà complementare alla astronomia classica.