La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini
Dopo un milione e mezzo di km il telescopio spaziale James Webb (JWST) ha raggiunto la sua meta definitiva, il punto Lagrangiano L2. Lentamente, ha dispiegato i suoi 5 teli protettivi sovrapposti e ha riunito tutti i suoi 18 specchi esagonali. Poi li ha allineati con cura, e finalmente ha acceso i suoi strumenti. Dopo parecchie settimane dal suo lancio, avvenuto il giorno di Natale del 2021, era pronto per guardare l’Universo come mai nessuno prima di lui.
Nella curiosità dello scorso febbraio – puoi rileggerla a questo link: “Il telescopio Spaziale James Webb” – avevamo esaminato le sue promesse, adesso possiamo vedere se comincia a mantenerle.
I campi di indagine in cui il telescopio prometteva di eccellere erano:
- immagini di pianeti e di proto-pianeti in formazione
- immagini di corpi “tiepidi”, che emettono la maggior parte della loro luce nella banda infrarossa
- immagini di sorgenti che nella luce visibile sono avvolti da coltri di polvere che li nascondono alla vista
- atmosfere di pianeti
- immagini dall’Universo lontano, ricevendo la luce dalle galassie che l’hanno emessa più di tredici miliardi di anni fa
E le prime risposte, sotto forma di primi immagini riprese dal telescopio, è stata mozzafiato, perfino meglio del previsto.
Guardiamo la figura 1 che ritrae la stessa zona di cielo ripresa da due satelliti operativi nell’infrarosso che hanno preceduto il James Webb Telescope, a cui si deve la terza immagine. Come definizione non c’è confronto, sembra che gli strumenti dei primi due satelliti siano fortemente sfocati e miopi. Con l’eccezionale definizione di JWST si possono vedere centinaia di sorgenti dove prima esisteva solo una nebbia confusa.
Con questa incredibile risoluzione angolare, JWST può facilmente mantenere la promessa di ottenere immagini di alcuni pianeti extrasolari, impresa che finora è stata possibile in rarissimi casi fortunati. Ne abbiamo un esempio nella figura 2, dove si vede il pianeta HIP 65426 b in filtri diversi. Questo pianeta ha una massa di circa 6-8 volte la massa di Giove, e orbita alla distanza di circa 100 unità astronomiche dalla sua stella madre. A bordo di JWST c’è uno strumento speciale, chiamato coronografo, che riesce a “coprire” la luce della stella madre (fa quindi delle eclissi artificiali) in modo da far risaltare l’immagine del pianeta.
Dopo aver scoperto circa 5000 pianeti extrasolari, è tempo di scoprire le loro proprietà. Per questo HWST è attrezzato con uno speciale strumento (uno spettrografo) capace di separare le varie lunghezze d’onda della luce infrarossa che riceve alla ricerca di indicatori di eventuali elementi, come l’anidride carbonica o il vapore acqueo, che potrebbero essere presenti nell’atmosfera dei pianeti extrasolari. E questo è il caso di WASP 96b, il cui spettro è riportato nella figura 3. Si vedono le “firme” del vapore acqueo a varie lunghezze d’onda. Questo pianeta è un “gioviano caldo”: ha una massa che è metà di quella di Giove e orbita vicinissimo alla sua stella madre, cosa che lo rende particolarmente caldo. Questo spettro dimostra le capacità di JWST: saprà sicuramente mantenere le promesse della vigilia.
Le regioni dove si formano le stelle sono un altro degli obiettivi principali di JWST, perché sono generalmente coperte da coltri di polveri che ne oscurano la vista nell’ottico. Per esempio, nella figura 4 possiamo vedere a sinistra una fotografia ripresa da Hubble della galassia M74 (soprannominata galassia “fantasma” perché non è molto brillante). È una galassia molto simile alla nostra Via Lattea come forma, massa e dimensioni e si trova a circa 30 milioni di anni luce da noi. La vediamo “di faccia”, cosa che rende visibili con chiarezza i suoi bracci a spirale. A destra abbiamo l’immagine fatta da JWST, che mostra i dettagli dei bracci in tutta la loro magnificenza, come se la nebbia si fosse diradata. Al centro abbiamo l’immagine composita, con le informazioni sia del gas e polveri riprese da Hubble sia delle stelle visibili con JWST.
Nella figura 5 vediamo un altro confronto di immagini della nebulosa della Carena, un’altra nursery stellare a circa 7500 anni luce da noi. La superiorità di JWST rispetto al pur eccellente Hubble è evidente.
Ma anche per gli oggetti vicinissimi a noi JWST è sorprendente: nella figura 6 vediamo una bella immagine di Giove, con la macchia “rossa” che è diventata grigia. Si vedono benissimo le aurore polari, provocate dalle particelle cariche incanalate dal forte campo magnetico gioviano.
La figura 7 invece fa vedere Nettuno, con i suoi anelli, difficilissimi da vedere con telescopi a Terra, e alcuni dei suoi satelliti.
Per finire in bellezza, la figura 8 fa vedere l’immagine di una zona di cielo minuscola. Pensate: corrisponde ad un granello di sabbia tenuto ad un braccio di distanza. Ebbene, questa piccolissima zona di cielo contiene un ammasso di galassie lontano miliardi di anni luce. Ogni puntino è una galassia, ma vedete tanti piccoli archi sparsi in tutta l’immagine. Questi archi corrispondono alla luce di galassie lontanissime, tra le più lontane mai osservate. Per arrivare fino a noi hanno dovuto attraversar la zona dell’ammasso di galassie, che ha fatto da lente gravitazionale. La luce delle galassie lontane è stata amplificata, anche se distorta, e questo ha permesso alle galassie lontane di rendersi visibili. Come se l’ammasso di galassie funzionasse da telescopio.
Maggiori informazioni:
James Webb Space Telescope – NASA
James Webb Space Telescope – ESA
James Webb Space Telescope – CSA
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