Astrocuriosità | febbraio 2022 – Il telescopio spaziale James Webb

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini

Il telescopio spaziale James Webb

 

Giorno di Natale, 2021. C’è grande tensione nel mondo, perché sta per essere lanciato il più grande  e costoso telescopio spaziale. L’hanno chiamato James Webb Space Telescope, ed è dentro all’ogiva di un razzo Ariane 5, dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

 

Il nome deriva da uno storico direttore della NASA, nominato dal presidente Kennedy per guidare il programma Apollo, che porterà l’uomo sulla Luna.  Fino all’ultimo il nome è stato in bilico, perché si doveva appurare se James Webb aveva qualche responsabilità nelle “purghe” omofobe negli Stati Uniti, che hanno portato al licenziamento di migliaia di omosessuali da tutti gli organismi pubblici. Ma alla fine si è appurato che James Webb non aveva responsabilità e il suo nome è rimasto.

 

Innumerevoli siti web stanno trasmettendo in diretta le ultime fasi del conto alla rovescia. Doveva partire ieri, ma nubi minacciose hanno consigliato un rinvio. È il telescopio più complicato che l’uomo abbia mai costruito, e infatti la sua costruzione è durata ben oltre quella prevista, e anche i costi sono lievitati di conseguenza.

 

Ma alla fine eccolo lì, questo concentrato di tecnologia. Il più grande specchio mandato nello spazio, di 6,5 metri di diametro, su un satellite da 6,5 tonnellate. È costato 10 miliardi di dollari, forse anche un po’ di più. Per noi astrofisici è facile pensare che ne è valsa la pena, ma la cifra appare davvero enorme. Però pensiamo: hanno contribuito gli Stati Uniti, l’Europa e il Canada. Circa 1 miliardo di persone. Che hanno dovuto sborsare l’equivalente di un caffè a testa all’anno. Detta così non sembra molto, vero?

 

E le cose che si sono dovute inventare sono state molte, e troveranno impiego nella vita comune. Come sempre: ogni euro investito nella ricerca spaziale (dai tempi del programma Apollo) ha fruttato dai 5 ai 7 euro in ricadute tecnologiche usate nei campi più disparati.

 

Ma non è la ricaduta tecnologica che adesso ci interessa. È la scienza che il telescopio farà. Possiamo ribattezzare questo enorme strumento come il telescopio delle “prime volte” perché speriamo che vedrà le prime galassie, i primi buchi neri supermassivi, le prime stelle, le prime supernove. Stiamo parlando di eventi che sono successi ad appena un centinaio di milioni di anni dal Big Bang.

 

Possiamo paragonare questa età a quella di un essere umano: se pensiamo che adesso l’Universo ha 13,8 miliardi di anni, e lo consideriamo di mezza età (cioè come una persona di 40 anni), allora vederlo quando aveva 100 milioni di anni è come guardare un bambino di 3 mesi e mezzo. Non ha ancora cominciato a parlare, ma forse ci può fare un sorriso, e svelarci qualche segreto.

 

Ma c’è una cosa che assolutamente non bisogna fare: non si può usare la luce visibile, ma l’infrarosso.

 

Per spiegare perchè dobbiamo addentrarci nei meandri dell’espansione dell’Universo, e capire una cosa non molto intuitiva, ma grandiosa. Tutti noi abbiamo sentito parlare dell’espansione dell’Universo e sappiamo che le galassie si stanno allontanando tra di loro.

 

Ma sono pronto a scommettere che la maggior parte di noi ha in testa un’immagine: quella di un enorme scatolone pieno di spazio, in cui le galassie si muovono allontanandosi, come se fosse scoppiata una bomba e le galassie ne fossero i frammenti.

 

Se la vostra idea di Universo in espansione è questa, beh, bisogna cambiarla.  La realtà è molto più  affascinante. Non c’è nessun scatolone, e le galassie in realtà stanno ferme. Come può essere? Noi misuriamo che le galassie si stanno allontanando, e non possono essere ferme! E invece sì.

 

Immaginiamo le galassie attaccate con un fermaglio ad un elastico. Le galassie non hanno nessun motore, e sono ferme rispetto al fermaglio che le vincola all’elastico. Ma adesso tendiamo l’elastico: le galassie, pur stando ferme rispetto al pezzo di elastico a cui sono attaccate, si allontanano tra di loro. Non solo, ma più sono lontane e più si allontanano velocemente: proprio quello che si osserva.

 

In questo esempio l’elastico è lo spazio. È lo spazio che si tende, che aumenta, e che fa aumentare le distanze tra le galassie. È come se in tutto l’Universo lo spazio fosse pompato tra le galassie.

 

Un altro esempio: pensate ad un lago in mezzo ad una zona abbastanza pianeggiante, con poca pendenza. Pensate a delle barchette ferme sull’acqua del lago. Supponete adesso che, sparse sul fondo, ci siano molte sorgenti d’acqua. Cosa succederà? L’acqua proveniente da queste sorgenti farà sì che il livello dell’acqua tenda a salire, e il lago aumenterà la sua superficie, mangiandosi un po’ di spiaggia.  E le barchette? Saranno trascinate dalla corrente che si formerà, anche se a loro sembrerà di stare ferme. Ciononostante si accorgono che le altre barche si stanno allontanando…

 

Ma adesso arriva la cosa più strana: anche la lunghezza d’onda della luce risente dell’espansione dello spazio, e si allunga della stessa proporzione (cioè, se lo spazio raddoppia, anche la lunghezza d’onda diventa doppia). Possiamo immaginare quello che succede se pensiamo che anche l’onda sia attaccata all’elastico che, quando si tende, fa tendere anche la lunghezza d’onda della luce (mi raccomando, non prendetemi alla lettera: la luce, a differenza delle galassie, non può stare ferma!).

 

Ecco perchè per guardare lontano bisogna guardare in infrarosso: la luce è partita dalle prime stelle, dalle prime galassie, come luce visibile, o addirittura come ultravioletto. Ma nel viaggio verso di noi ha subìto un aumento della sua lunghezza d’onda in proporzione uguale a quanto l’Universo si è espanso. Da quando l’Universo aveva 100 milioni di anni ad adesso, l’Universo si è espanso di circa 10 volte. E quindi la luce partita come luce visibile alla lunghezza d’onda di 0.5 micron ci arriva a 5 micron, cioè in pieno infrarosso.

 

Avete visto lo specchio del telescopio? Sono 18 esagoni allineati perfettamente, rivestiti di un sottilissimo strato d’oro. Sembra un’opera d’arte, e infatti in tanti ne hanno fatto una riproduzione da appendere ad una parete di casa, come se fosse un quadro. Anch’io adesso uso un portachiavi fatto con 18 piccoli esagoni gialli.

 

Forse però la cosa che impressiona di più è quella struttura fatta di 5 strati di fogli sottilissimi, che ripara lo specchio dalla luce del Sole. Serve anche per raffreddare tutto il telescopio, ed è per questo che questa struttura è grande come un campo da tennis.

 

È fatta da 5 fogli sottilissimi, che facendo riflettere la luce tra i vari strati, la guidano “verso l’uscita”, riuscendo a raffreddare l’intera struttura.  Il primo foglio, quello rivolto verso il sole, ha una temperatura di circa 100 gradi, mentre l’ultimo, rivolto verso il telescopio, è a 260 gradi sottozero. Questo raffreddamento è essenziale, perchè altrimenti i raggi infrarossi emessi dalla stessa struttura disturberebbero le osservazioni.

 

C’è un altro motivo importante per guardare l’Universo in infrarosso, legato ai pianeti extrasolari. Il telescopio James Webb, infatti, punta a mandarci delle immagini di questi pianeti. In questo caso non sarebbe la prima volta, ma le immagini che abbiamo adesso sono difficilissime da ottenere, mentre con il telescopio Webb dovrebbe essere routine.

 

L’importanza di guardare in infrarosso risiede nel fatto che la stella attorno alla quale il pianeta gira emette principalmente nella parte visibile dello spettro, e in infrarosso emette molto poco. Il pianeta, invece, emette soprattutto in infrarosso. Quindi se guardiamo in infrarosso siamo meno abbagliati dalla luce della stella madre.

 

La grande area di raccolta dello specchio del telescopio, invece, unita al fatto di guardare al di sopra della nostra atmosfera, permette di fare una cosa strabiliante: si cercano quei pianeti che transitano sopra il disco della stella madre, e in quei momenti  si fa uno spettro della luce che ci arriva.

 

Fare uno spettro vuol dire scomporre la luce nelle sue varie lunghezze d’onda. Poi si aspetta che il pianeta passi dall’altra parte della stella, e si fa un altro spettro. Se si fa la differenza tra il primo (stella +pianeta) e il secondo (stella) si può ottenere lo spettro del solo pianeta. O meglio, dell’atmosfera del pianeta. In questo modo possiamo andare alla ricerca degli elementi che formano la sua atmosfera, ognuno dei quali lascia delle tracce ben precise nello spettro.

 

Troveremo la presenza di metano? Di vapore acqueo? Di ossigeno? Troveremo cioè delle indicazioni che su quel pianeta è possibile la vita?

 

Per vedere il percorso della luce raccolta dagli specchi del telescopio:
percorso luce

 

Come i singoli specchi ad esagono vengono allineati:
allineamento

Fig. 1. Il razzo Ariane 5 che ha lanciato il telescopio James Webb. Si può vedere come il telescopio è stato ripiegato per poter entrare nella stiva.
Fig. 2. Il lancio, il giorno di Natale 2021, seguito da innumerevoli siti web. Crediti: NASA.
Fig. 3. Il telescopio James Webb in azione, dopo aver dispiegato tutte le sue parti. Crediti: Wikipedia.
Figura 4: il parasole a cinque strati del JWST, grande come un campo da tennis, sviluppato da Northrop Grumman. Crediti: Chris Gunn - NASA Goddard Space Flight Center.
Figura 5: il telescopio James Webb non orbita intorno alla Terra, ma intorno al Sole, come se fosse un piccolo pianeta. Però in un punto particolare, chimato secondo punto Lagrangiano (da Lagrange, famoso matematico e astronomo), in una zona particolarmete stabile dove la accelerazione centrifuga bilancia la gravità del Sole, della Terra e della Luna. Volete saperne di più? La prossima curiosità del mese vi spiegherà tutto… Crediti: NASA.
Figura 6: gli specchi esagonali del telescopio e lo specchio secondario in posizione. Il diametro dello specchio principale è di 6,5 metri. Crediti NASA.
Figura 7: il telescopio con I sostegni dello specchio secondario ripiegati. Crediti NASA.
Figura 8: lo specchio del telescopio di James Webb (di 6,5 m di diametro) a confronto con lo specchio del telescopio spaziale Hubble (di 2.4 metri di diametro). Crediti NASA.
Figura 9: lo spettro elettromagnetico e la banda di frequenze a cui lavora il JWST, confrontate con l’Hubble space telescope (visibile) e il telescopio Spitzer (estremo infrarosso). Crediti: NASA.
Figura 10: le sorgenti lontane emettono luce che nel viaggio verso la Terra diventa più rossa, perché risente dell’espansione dell’Universo (questo fenomeno viene chiamato redshift cosmologico). Crediti: NASA.

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