La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni
Da decenni l’uomo sta esplorando il sistema solare con delle sonde.
La prima a raggiungere un altro corpo celeste è stata Luna 2 nel 1959, seguita dal passaggio di Mariner 2 nel 1962 a 35.000 km dalla superficie di Venere.
Più recentemente abbiamo Rosetta che ha raggiunto la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, Dawn che ci ha mostrato il pianeta nano Vesta e New Horizons che si è spinto fino a Plutone.
Ma come fanno trovare la rotta e a arrivare a destinazione con la precisione necessaria?
Plutone è un “sassolino” di 1200 km di raggio che quando è più vicino alla terra è a 4.425 milioni di chilometri dal sole, trenta volta la distanza dal sole della terra, ovvero trenta Unità Astronomiche.
Il metodo standard per navigare nello spazio è di combinare informazioni radio ottenute dalle stazioni a terra e immagini ottenute dalla sonda quando si avvicina a altri corpi celesti.
Le stazioni radio che tracciano le sonde possono misurare la distanza e la velocità di allontanamento con buona precisione, ma non altrettanto precise sono la posizione e la velocità “laterali“.
Il meglio che si può raggiungere con misure di tipo interferometrico è una precisione sulla posizione di circa 4 chilometri per Unità Astronomica.
Questo significa che alla distanza di Plutone la precisione è di circa 200 km.
Una volta che la sonda è in loco si può correggere con le immagini.
Le limitazioni di questo metodo sono abbastanza evidenti: la precisione diminuisce più distanti si è, il tempo di trasmissione dei dati a terra è molto lungo quando si è molto distanti e, molto importante se si pensa a missioni umane in futuro, la misura dipende dalla comunicazione con la terra. In altre parole, non sono io che misuro la mia posizione, sono i miei colleghi a terra che me la dicono.
Vi sentireste sicuri con questo sistema?
Quello che ci vorrebbe è un metodo utilizzabile direttamente a bordo.
Si sono provati approcci basati su osservazioni della posizione del sole e dei pianeti, ma non sono abbastanza precisi.
Quando giriamo in auto non abbiamo bisogno di chiamare casa per chiedere che ci dicano dove siamo, ormai quasi tutti abbiamo un rilevatore GPS che ci fornisce la risposta.
Il rilevatore si basa sui segnali di decine di satelliti in orbita che emettono un segnale orario. Calcolando i ritardi dei segnali di vari satelliti il nostro telefono trova la sua posizione e quindi anche la nostra (se non l’abbiamo dimenticato a casa).
I satelliti GPS sono in orbita intorno alla terra e servirebbero a poco nello spazio interplanetario.
Ci vorrebbero degli orologi cosmici.
Ma noi conosciamo degli orologi cosmici, alcuni dei quali molto più precisi degli orologi atomici sui satelliti: le pulsar!
Se si potessero osservare da bordo delle pulsar regolari si potrebbe controllare le loro fasi e trovare la nostra posizione.
È esattamente quello che si sta studiando attualmente. Questo metodo può portare a una misura della posizione con la precisione di una decina di chilometri o meno, indipendente dalla distanza dalla terra, immediata e soprattutto fatta a bordo.
Esattamente come il GPS nella nostra auto.
Come osservare le pulsar non è ancora chiaro.
Con telescopi X si può raggiungere la precisione menzionata sopra.
Con radiotelescopi si può fare di meglio, ma i radiotelescopi sono grandi e pesanti.
Chiaramente la scelta dipenderà caso per caso (un rilevatore GPS grande come un frigorifero non è pensabile per un’auto, ma potrebbe funzionare per un autoarticolato).
Quest’anno dovrebbe essere installato sulla Stazione Spaziale Internazionale uno strumento della NASA chiamato SEXTANT (Station Explorer for X-ray Timing and Navigation Technology) che sonderà la possibilità di navigazione basata su pulsar in connessione con il progetto NICER, un telescopio in raggi X che osserverà molte pulsar.
Insomma, a poco a poco ci si attrezza per viaggiare nel sistema solare.