La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini

Che cos’è un wormhole?
È un “ponte” che connette due punti lontani dello spazio, in modo da avvicinarli. Per la fantascienza è una manna, ma sono realistici? Non lo sappiamo ancora.
La loro storia comincia nel 1916, pochi mesi dopo la pubblicazione della relatività generale, l’austriaco Ludwig Flamm trova e pubblica una soluzione particolare della relatività generale che ha la caratteristica di connettere due punti lontani dello spazio. Dopo 19 anni, nel 1935, la stessa soluzione viene trovata da Einstein e un suo collaboratore, Nathan Rosen.
Per John Archibald Wheeler la denominazione “ponti (o cunicoli) spaziotemporali di Einstein-Rosen è troppo lunga, e da quel grande battezzatore di fenomeni fisici quale è, si inventa il nome di “wormhole”: letteralmente buco di verme. Il nome, come tutti i suoi precedenti nomignoli, risulta immediatamente accattivante, anche perché cattura l’essenza del fenomeno, immaginando un verme su una mela, che invece di camminare sulla sua superficie, scava un tunnel all’interno della mela stessa, per andare da un estremo all’altro.
Ma lo stesso Archibald Wheeler scopre un problema serio: i wormhole non sono stabili. Pensando agli wormhole come a due “imbuti” spaziali connessi alla loro estremità, in modo da formare un tunnel, si ha che il tempo per cui il tunnel può rimanere connesso è molto minore del tempo che la luce ci mette ad attraversarlo. Passato questo tempo rapidissimo, i due “imbuti” si staccano. In questo caso non sarebbe possibile a nessuno di attraversarli: addio fantascienza.
Questa era la situazione quando Kip Thorne si trovava in viaggio in macchina tra Pasadena, dove lavorava al CalTech, e Santa Cruz, dove suo figlio stava per discutere la tesi di dottorato. Era insieme alla sua ex moglie Linda e all’altro figlio.
Guidava Linda perché lui aveva appena ricevuto un manoscritto intitolato Contact dal suo caro amico Carl Sagan, che gli aveva chiesto di controllare che nel manoscritto non ci fossero “svarioni scientifici”. E uno svarione effettivamente c’è: la protagonista del romanzo, per raggiungere la stella Vega a bordo di un macchinario costruito con la tecnologia mandata dagli alieni, deve attraversare l’interno di un buco nero.
Non si può! pensa Kip Thorne: al centro del buco nero c’è una massa infinitamente densa, e nessuno può uscirne vivo… Ma Kip Thorne pensa ad una soluzione, per salvare il romanzo di Carl Sagan, e pensa ad un wormhole. Ma sa che c’è un problema anche con i wormhole, perché Wheeler (che era stato suo relatore di tesi di dottorato) aveva scoperto che erano instabili. All’arrivo a Santa Cruz manca poco, ma in quel poco tempo Kip pensa a una soluzione: la materia (o energia) esotica. Un tipo di materia ancora sconosciuto, che avrebbe la particolarità di avere energia negativa. Questa materia esotica potrebbe stabilizzare il wormhole.
Siamo nel 1985, e il romanzo Contact esce. Poco tempo dopo, nel 1997, Robert Zemeckis (regista, tra l’altro, della saga di Ritorno al futuro e di Forrest Gump), ne fa un film, con Jodie Foster e Matthew McConaughey come protagonisti. Per una coincidenza, Matthew McConaughey sarà anche il protagonista di un altro film – Interstellar – che avrà uno wormhole come co-protagonista. E avrà lo stesso Kip Thorne come consulente scientifico, a garanzia della veridicità e della verosimiglianza del contenuto scientifico del film.
La presenza di Kip Thorne nel team del film non deve però ingannare: non è una garanzia dell’esistenza dei wormhole.
Le richieste per la loro esistenza sono infatti quasi proibitive: per prima cosa si richiede una dimensione extra nel nostro spazio, una quarta dimensione spaziale, una sorta di iperspazio. Inoltre, non sono fenomeni naturali: qualcosa, o meglio qualcuno, deve essere in grado si piegare una grande quantità di spazio (e farlo nell’iperspazio) in modo da connettere le due bocche del wormhole. Inoltre bisogna che esista e che sia disponibile una grande quantità di materia esotica per stabilizzare il warmhole. Ma non credo che siano queste le difficoltà principali
La difficoltà è che se potesse davvero esistere, allora renderebbe possibili viaggi indietro nel tempo. Questo farebbe nascere dei paradossi impossibili da risolvere. È questa la ragione per cui la maggior parte degli scienziati crede che i warmhole non siano possibili.
O, almeno, quelli cosmici. Sì, perché potrebbe esistere un’altra categoria di warmhole, questa volta microscopici, che potrebbero esistere nel microcosmo, con dimensioni della lunghezza di Planck, cioè 10-33 cm.
Anche questa possibilità però, è solamente ipotetica: noi non sappiamo le leggi che governano la gravità e lo spazio tempo a queste distanze. Però non riusciamo, per ora, a escludere questa possibilità, anche se penso che la fantascienza sia in questo caso in ritardo: non esistono ancora storie che sfruttano la possibilità di questi micro-wormhole.





