Astrocuriosità | marzo 2025 – Un neutrino campione del mondo

La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini

Quasi esattamente due anni fa, il 13 febbraio del 2023, nelle profondità del mare nello stretto di Sicilia, al largo di Capo Passero, avvenne un evento straordinario.

A quel tempo si stava costruendo uno dei più grandi strumenti per rivelare le particelle più elusive: i neutrini. Si era già costruito circa un decimo dell’intero strumento, ma i rivelatori presenti erano già in funzione e operativi. E improvvisamente segnalarono il passaggio proprio di un neutrino. E la cosa straordinaria fu che era il neutrino più energetico mai visto, circa trenta volte di più del più energetico visto fino a quel momento.

Ma cosa sono i neutrini? Sono il prodotto del decadimento di particelle più grandi, come i neutroni.

Infatti, furono ipotizzati proprio perché quando un neutrone cambia identità e diventa un protone, emette un elettrone, e produce dell’energia. Che però non è sufficiente a far quadrare i conti: l’energia totale misurata (energia di massa dell’elettrone più la sua energia di moto) non combaciava con la differenza di energia del neutrone e del protone: doveva esserci dell’altro.

Niels Bohr si spinse a proporre che l’energia, in questo processo, non era conservata (addirittura!).

Wolfang Pauli invece ipotizzò nel 1930 che l’energia mancante era sottoforma di una nuova particella, non ancora scoperta, che chiamò neutrone.

Ma nel 1932 James Chadwick scoprì che quello che viene chiamato ancora oggi neutrone era associato a una particella neutra con una massa leggermente maggiore di quella di un protone, che non poteva essere la particella proposta da Pauli.

La misteriosa particella di Pauli fu battezzata neutrino da Enrico Fermi, che elaborò anche la teoria che spiegava il decadimento del neutrone, ipotizzando l’esistenza di una nuova forza, la forza debole.

Scrisse un articolo e lo inviò alla rivista Nature che fece il suo più grande errore: lo rifiutò. Con la motivazione che “Contiene speculazioni troppo lontane dalla realtà per essere di interesse per il lettore”. Anni dopo la redazione di Nature ammise il suo errore, e 22 anni dopo, nel 1956,  il neutrino fu scoperto da Clyde Cowan e Frederick Reines (che per questo vinse il Nobel nel 1995).

È difficile rivelare i neutrini.

Sono particelle che non interagiscono quasi con niente: pensate che il Sole è una fabbrica gigantesca e  inesauribile di neutrini: la punta di un nostro dito (un centimetro quadro) viene attraversata – ogni secondo – da 100 miliardi di neutrini solari, e noi non ce ne accorgiamo.

Possono attraversare tutta la Terra senza colpo ferire e questa mancanza di interazione è croce e delizia per i fisici: è croce perché per riuscire a rivelarli devono sudare sette camicie, è delizia perché possono trasportare informazioni dalla zone completamente oscure per la radiazione: il centro del Sole e delle stelle, i primi istanti di vita del nostro Universo.

Ma gli sperimentatori non si sono mai arresi e hanno inventato dei rivelatori sempre più grandi, addirittura di un chilometro cubo di volume, impiegando dei materiali a basso costo: ghiaccio nel polo Sud, oppure acqua del mare, nel Mediterraneo.

Lo strumento al polo Sud è chiamato Icecube e quello nel Mediterraneo, ancora in costruzione, è chiamato Km3Net.  Il ghiaccio e l’acqua sono, non a caso, materiali trasparenti, perché per la rivelazione  si usa un debole e velocissimo lampo di luce.  

Ecco il trucco: anche se molto raramente, un neutrino molto veloce (e quindi energetico) può interagire con un nucleo atomico e produrre delle particelle cariche, chiamate muoni, che si muovono a grande velocità, addirittura più velocemente della luce. Sì, perché nell’acqua, o nel ghiaccio, la luce è più lenta, e i muoni possono sorpassarla. In queste condizioni il muone, che è carico, produce un campo elettrico amplificato che accelera fortemente le cariche presenti nell’ambiente circostante, obbligandole a produrre luce.

È una luce bluastra, che può essere rivelata da dei fotomoltiplicatori immersi nell’acqua del mare o nel ghiaccio del polo Sud. Pensate che questi lampi di luce durano solo qualche miliardesimo di secondo. Ed è un bene, perché così si riesce a discriminare la luce prodotta dai neutrini da quella dei tantissimi pesci luminescenti presenti nelle profondità del mare (mentre nel ghiaccio, ovviamente, non ci sono pesci…).

Nel caso del neutrino campione del mondo, quello del 13 febbraio 2023, il lampo di luce è stato rivelato da circa un terzo dei fotomoltiplicatori già piazzati a circa 3000 metri di profondità, permettendo di calcolare la sua energia straordinaria: almeno 220 PeV: cioè più di 220 milioni di miliardi di elettronVolt (2,2x 1017 eV). Questa energia basterebbe per creare 430 miliardi di elettroni, oppure 234 milioni di protoni. Pensate che la massima energia che si può raggiungere al CERN (il più grande acceleratore di particelle del mondo) è di 14 TeV, che è 16 milioni di volte più piccola.

La natura fa di più e fa di meglio. Vi chiederete: ma a cosa serve rivelare questi neutrini monstre?

Innanzitutto serve a dimostrare che esistono, e se esistono loro deve esistere un meccanismo che li ha accelerati fino a queste energie prodigiose. Questo in realtà non è completamente sorprendente, perché in natura esistono i raggi cosmici, fatti di nuclei di idrogeno, di elio e nuclei di ferro, che possono raggiungere una energia di 1020 elettronVolt, quasi 500 volte di più. Verrebbe da pensare che forse il neutrino primatista è stato partorito da un raggio cosmico un centinaio di volte più energetico di lui. Sarà vero? Al futuro l’ardua sentenza. La prima cosa da fare sarà completare Km3Net e sperare di rivelare altri neutrini energetici, per saperne di più.

Un altro mistero che riguarda i neutrini è la loro massa. Si sa che devono possedere un po’ di massa, si sa che deve essere molto piccola, circa un milione di volte meno di un elettrone, ma ancora non si sa il suo valore preciso. Però si sa che il fatto che abbiano una massa potrebbe spiegare un fenomeno stranissimo: mentre viaggiano, sono capaci di cambiare identità: possono partire come neutrini elettronici, poi cambiano in neutrini muonici o ancora in neutrini tau.

Per saperne di più

La scala delle unità, un Mega-elettronVolt corrisponde a un milione di elettronVolt, mentre un Peta-elettronVolt corrisponde a un milione di miliardi di elettronVolt. Notate che la scala varia di un fattore mille; chilo indica che c’è una tripletta di zeri, Mega indica 2 triplette, Giga tre triplette (109) Tera indica 4 triplette (quindi 1012), Peta indica 5 triplette (1015), Exa sei triplette (1018).


Fig. 1 - Wolfgang Ernst Pauli, il primo ad ipotizzare l’esistenza del neutrino (da lui chiamato neutrone), nel 1930. - Crediti: Wikipedia.
Fig. 1 – Wolfgang Ernst Pauli, il primo ad ipotizzare l’esistenza del neutrino (da lui chiamato neutrone), nel 1930. – Crediti: Wikipedia.
Fig. 2 - Enrico Fermi, ideatore della forza debole, che battezzò “neutrino” la particella di Pauli - Crediti: Wikipedia.
Fig. 2 – Enrico Fermi, ideatore della forza debole, che battezzò “neutrino” la particella di Pauli – Crediti: Wikipedia.
Fig. 3 – Clyde Lorrain Cowan (a sinistra, 1919 – 1974) e Frederick Reines (1918 – 1998), scopritori del neutrino. Reines vinse il premio Nobel per la nel 1995. Purtroppo, Cowan era già morto e il premio Nobel non può essere dato postumo - Crediti: web.
Fig. 3 Clyde Lorrain Cowan (a sinistra, 1919 – 1974) e Frederick Reines (1918 – 1998), scopritori del neutrino. Reines vinse il premio Nobel per la nel 1995. Purtroppo, Cowan era già morto e il premio Nobel non può essere dato postumo – Crediti: web.

Fig. 4 - Uno dei moduli ottici sferici che formano le colonne verticali di rivelatori di Km3Net. Ogni modulo ottico è formato da 31 fotomoltiplicatori sensibili alla luce Cherenkov. Un collare in titanio è posto intorno alla sfera di vetro per fissare il modulo ottico alle funi che tengono i rivelatori in verticale sott'acqua - Crediti: Credit N. Busser/Cnrs
Fig. 4 – Uno dei moduli ottici sferici che formano le colonne verticali di rivelatori di Km3Net. Ogni modulo ottico è formato da 31 fotomoltiplicatori sensibili alla luce Cherenkov. Un collare in titanio è posto intorno alla sfera di vetro per fissare il modulo ottico alle funi che tengono i rivelatori in verticale sott’acqua – Crediti: Credit N. Busser/Cnrs
Fig. 5 - Nella copertina del numero di Nature che riporta la scoperta del neutrino ultra energetico, uno dei moduli da 31 fotomoltiplicatori ciascuno che formano le linee dei rivelatori di Km3Net - Crediti: Nature
Fig. 5 – Nella copertina del numero di Nature che riporta la scoperta del neutrino ultra energetico, uno dei moduli da 31 fotomoltiplicatori ciascuno che formano le linee dei rivelatori di Km3Net – Crediti: Nature