Astrocuriosità | settembre 2024 – Come sopravvivere alla morte del Sole: corso base accelerato

La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga

Quante volte abbiamo rischiato l’estinzione? Non le ho contate tutte, ma sono state tante: tra epidemie, carestie, catastrofi naturali, la popolazione di Homo Sapiens su questo pianeta è stata ridotta molte volte di numero, quasi al punto da non riuscire più a riprendersi. E la prova, per quanto possa sembrare strano, sta nel fatto che solo lo 0.1% dei nostri geni varia da un individuo all’altro, ovvero discendiamo da pochi progenitori sopravvissuti in tempi remoti (il cosiddetto effetto collo di bottiglia genetico). E se ora la medicina e la tecnologia ci hanno messo abbastanza al riparo dalle prime due minacce, il fatto di disporre di un arsenale di più di 13000 testate nucleari potrebbe rendere piuttosto facile porre fine in pochi giorni alla nostra esistenza su questo pianeta. E anche qui, potremmo contare le volte che ci siamo arrivati vicini per sbaglio. E per non parlare del riscaldamento globale, che potrebbe renderlo inabitabile – sempre per mano nostra – nel giro di pochi secoli. E poi, ci sono le minacce che vengono dall’interno della Terra (eruzioni di super-vulcani) e dallo spazio: impatti di asteroidi, esplosioni di supernove vicine, Gamma Ray Burst, tutti fenomeni che hanno molto probabilmente causato svariate estinzioni di massa nei 4.5 miliardi di storia della Terra: la prossima volta potrebbe toccare a noi.

Ma supponiamo per un attimo di essere stati così in gamba da essere riusciti a deviare tutti gli asteroidi e le comete in rotta di collisione con la nostra Terra. E anche di avere risolto i problemi del riscaldamento globale, della corsa agli armamenti, della sovrappopolazione, dell’approvvigionamento energetico… potremo dire di avere garantito la sopravvivenza perpetua alla nostra specie? Purtroppo no. E la minaccia definitiva arriva proprio dalla stella che ci dona la vita ogni giorno: il nostro Sole. Sappiamo più o meno tutti che non vivrà per sempre; attualmente è circa a metà del suo ciclo vitale (Figura 1), e il suo decesso è fissato tra circa 5 miliardi di anni. Un sacco di tempo, certo. Solo che … quello che non viene mai detto è che la morte del Sole è già iniziata.

Il Sole non morirà dall’oggi al domani. Attualmente, le reazioni nucleari (di fusione da idrogeno in elio) che lo sostengono contro l’abbraccio mortale della sua stessa gravità avvengono nel suo nucleo. Ma l’elio, il prodotto di scarto, è più pesante e si accumula al centro, quindi le reazioni nucleari si spostano sempre più verso l’esterno del Sole mentre il suo nucleo viene sempre più compresso e surriscaldato. Risultato (del tutto controintuitivo, tanto per cambiare): invecchiando, il Sole aumenta la sua luminosità (Figura 2). Al momento, tale aumento è dell’1% ogni 100 milioni di anni: se vi sembra poco, pensate che tra un miliardo di anni l’aumento sarà del 10%, abbastanza perché gli oceani evaporino e la Terra inizi sempre più ad assomigliare a Venere. È questo il tempo che abbiamo a disposizione?

In realtà, ne abbiamo molto meno: forse 500 milioni di anni. La fine arriverà a causa dall’amplificazione di un fenomeno chiamato meteorizzazione delle rocce. In pratica, l’aumento della luminosità del Sole tende a disgregare le rocce (Figura 3), lasciando sempre più superficie rocciosa esposta all’atmosfera; la roccia esposta assorbe l’anidride carbonica (CO2) atmosferica attraverso un complesso processo chimico, causandone una rapida diminuzione. Paradossalmente, si tratterà proprio del fenomeno opposto all’eccesso di CO2 che oggi giustamente ci preoccupa. E non sarebbe la prima volta che accade nella storia della Terra: secondo vari studiosi, circa 750 milioni di anni fa, delle enormi eruzioni vulcaniche nell’attuale Siberia causarono la formazione di immense superfici basaltiche che, essendo molto porose, causarono un brusco crollo dei livelli di CO2 prima dagli oceani e poi dall’atmosfera. In assenza del gas serra e con un Sole più debole di oggi, la temperatura globale media scese a -50 °C e la Terra si ricoprì di ghiacci fino all’equatore. Fu la cosiddetta fase di Terra a palla di neve, nella quale pochissime forme di vita (ancora molto semplici) sopravvissero. Eppure, questa fase traumatica della storia della Terra fu un fenomeno transitorio, che infatti terminò quando i ghiacci coprirono le rocce “spugna” e la CO2 riprese ad aumentare, alimentata dai vulcani. In seguito, la vita si riprese rapidamente, dando addirittura origine all’esplosione del Cambriano. Ma quando sarà il Sole a innescare la catastrofe, non ci sarà possibilità di recupero: la CO2 diminuirà fino a rendere la fotosintesi clorofilliana impossibile e troncando alla base la catena alimentare. La vita sulla Terra sarà condannata. O forse no.

Dobbiamo pensare che su tempi geologici, mezzo miliardo di anni è piuttosto poco: è solo 1/9 dell’età attuale della Terra. Ma su tempi biologici, è un tempo enorme: è il tempo trascorso da quando sono comparsi i primi cordati da cui discendiamo. È ben 100 volte il tempo trascorso da quando i nostri progenitori si sono separati dagli altri primati. La nostra specie esiste da soli 200000 anni ed ha continuamente progredito le proprie conoscenze, con una accelerazione impressionante negli ultimi 100 anni che ci permette di fare cose che sarebbero apparse pura magia solo ai nostri bisnonni. Ma allora, cosa potremmo saper fare tra 500 milioni di anni?

In teoria, qualunque cosa sia consentita dalle leggi della Fisica. Potremmo, ad esempio, trovare il modo di aumentare il raggio dell’orbita della Terra per compensare l’aumento di luminosità del Sole, e già questo ci permetterebbe di guadagnare miliardi di anni preziosi. Stiamo già imparando a deviare le traiettorie degli asteroidi (Figura 4), non è impensabile che i nostri discendenti diventino così esperti in questa disciplina da riuscire a portare le loro traiettorie vicine alla Terra. Tramite una serie di passaggi ravvicinati ben studiati, un asteroide dopo l’altro ci cederebbe energia e momento angolare a sufficienza da allargare progressivamente l’orbita terrestre ed inseguire così la fascia di abitabilità (ovvero, la distanza alla quale le temperature consentono la presenza di acqua liquida) che si sposterà sempre più lontano dal Sole.

Naturalmente, nemmeno questo metodo garantirebbe alla Terra l’abitabilità eterna. Ad esempio, il campo magnetico terrestre finirà per spegnersi quando il nucleo esterno della Terra che lo alimenta diventerà solido (fra 2.3 miliardi di anni) lasciandoci esposti alle radiazioni solari e cosmiche. La Luna si sarà allontanata al punto da smettere di stabilizzare l’asse terrestre (fra 3 miliardi di anni), facendo letteralmente impazzire le nostre stagioni e il nostro clima. E infine anche il Sole morirà, diventando prima una gigante rossa (fra 5.4 miliardi di anni) e infine una piccola nana bianca (fra 8 miliardi di anni). In tali condizioni, non ci sarà molto da fare, se non abbandonare la Terra prima della catastrofe finale. Potremmo mettere in salvo almeno un campione rappresentativo della nostra specie e trasferirlo su un pianeta abitabile di un altro sistema stellare. Qualche centinaio di migliaia di superstiti basterebbe a preservare la nostra variabilità genetica e riuscire a ripopolare un pianeta adeguato, anche se – idealmente – sarebbe bellissimo mettere in salvo tutto il genere umano.

E qui sorge la prima domanda: dove andare?

Ebbene, noi siamo la prima generazione della storia umana che sta iniziando ad avere una risposta. Dal 1995 abbiamo iniziato a scoprire pianeti extrasolari, e non ci siamo mai fermati. Ne conosciamo attualmente (21 agosto 2024) 5747, in 4289 diversi sistemi planetari. Purtroppo, solo una minoranza di questi è di tipo terrestre (Figura 6) e, di questi, solo una piccola parte si trova nella fascia abitabile (a me piace molto Teegarden b, che è a soli 12.5 anni luce da noi). Si aggiunga che non abbiamo idea se questi pianeti potenzialmente abitabili lo siano effettivamente, cioè se abbiano realmente acqua liquida, molecole organiche, campo magnetico, un’atmosfera ricca di ossigeno ma con la giusta dose di gas serra, una stella relativamente tranquilla e stabile, un’orbita quasi circolare, senza pianeti giganti nei paraggi, lontani da sorgenti di raggi X o gamma, un rotazione non sincrona e di durata accettabile e … sì, siamo una specie molto esigente quando si tratta di cercare casa! Ma le scoperte si susseguono a ritmo serrato ed è solo questione di tempo prima di riuscire a individuare un pianeta molto simile alla Terra, magari non troppo distante (e sperando che non sia già occupato da altre forme di vita intelligenti…!).

Seconda domanda: come ci arriviamo?

Le distanze cosmiche sono immense per la luce, figuriamoci per i nostri veicoli spaziali. Raggiungere la stella più vicina alla velocità delle sonde Voyager richiederebbe quasi 100000 anni, e sono veicoli piccolissimi, completamente inadatti a sostenere la vita di eventuali passeggeri. Come vari film di fantascienza hanno immaginato, servirebbero astronavi enormi ed incredibilmente tecnologiche, dotate di gravità artificiale centrifuga, che viaggino a una frazione significativa della velocità della luce ed a prova di guasto (e collisione con micrometeoriti…). Ma anche così, il viaggio richiederebbe varie generazioni, con tutti i problemi tecnici, sociali, ed etici che implicherebbe. Siamo lontanissimi da una soluzione, ma le idee stanno nascendo: potremmo costruire una flotta di astronavi già nello spazio, estraendo direttamente i metalli dagli asteroidi. Potremmo usare le vele solari, la propulsione laser, o l’energia nucleare per raggiungere velocità relativistiche (col vantaggio non indifferente di rallentare l’invecchiamento dei viaggiatori, grazie alla dilatazione del tempo…). Potremmo mettere l’astronave in orbita intorno ad una cometa interstellare per abbandonare il sistema solare, col vantaggio di poterne estrarre molecole organiche e acqua, che magari potremmo usare per produrre del carburante! Per ora è fantascienza, certo. Ma fino al luglio 1969, lo era anche portare degli uomini sulla Luna, eppure lo abbiamo fatto. Sarà perché è una caratteristica di Homo Sapiens prefigurare il futuro, a volte azzeccandoci e a volte no, che possiamo permetterci di fantasticare in questo modo. Ma è anche perché nutriamo delle immense aspettative su quello che la scienza ci permetterà, visto che è il metodo che finora si è dimostrato più efficace per far progredire l’umanità. Dobbiamo solo continuare a seguirlo nei prossimi 500 milioni di anni.


Fig. 1 – Rappresentazione del ciclo vitale di una stella pari ad una massa solare (crediti: ESO/M. Kornmesser via Wikimedia Commons, CC BY 4.0).
Fig. 2 – Evoluzione del Sole dalla sequenza principale alla fase di gigante rossa fino a quella di nana bianca (crediti: Szczureq via Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0).
Fig. 3 – Meteorizzazione delle rocce nel deserto del Mali (crediti: Slawojar via Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0).

Fig. 4 – Scia di detriti tre mesi dopo l’impatto della sonda DART sull’asteroide Dimorphos (avvenuto il 26 settembre 2022), osservato dall’Hubble Space Telescope (crediti: ESA). I punti luminosi sono massi espulsi durante l’impatto, che ha consentito di modificare l’orbita dell’asteroide a scopo di test.
Fig. 5 – La stella Arturo (α Bootis, ben visibile in questi giorni la sera verso ovest), gigante arancione di 1.08 masse solari, è un buon esempio di come sarà il nostro Sole tra 5 miliardi di anni (crediti: Mikulski Archive for Space Telescopes, STScI, NASA, immagine di pubblico dominio).
Fig. 6 – Rappresentazione artistica dell’esopianeta di tipo terrestre TRAPPIST-1 e, in zona abitabile intorno a una nana rossa a 39.5 anni luce da noi (crediti: NASA/JPL-Caltech, immagine di pubblico dominio).
Fig. 7 – Poster umoristico di NASA/JPL-Caltech che reclamizza il pianeta TRAPPIST-1 e come “il miglior posto per le vacanze in zona abitabile entro 12 parsec dalla Terra” (immagine di pubblico dominio).