La curiosità del mese a cura di Tomaso Belloni
Il primo satellite artificiale è stato lo Sputnik 1, lanciato in orbita ellittica intorno alla terra nell’ottobre del 1957 dall’allora Unione Sovietica.
Era un sfera di metallo di 58 centimetri di diametro con quattro antenne per comunicare con la terra, pesava 84 chili e aveva una potenza di 1 watt.
Si trattava di un oggetto molto semplice, persino il nome Sputnik significa semplicemente “satellite”.
È rimasto in orbita solo per tre settimane, ma il suo lancio ha fatto partire la corsa allo spazio con gli Stati Uniti.
Da allora i satelliti artificiali sono diventati sempre più grandi e complessi.
Il Compton Gamma Ray Observatory (CGRO), satellite per astronomia in raggi gamma lanciato dalla NASA con lo Space Shuttle nel 1991 pesava 17 tonnellate, consumava 2000 watt ed era grande come un autobus.
Di questo passo l’immaginazione fa venire in mente i grandi incrociatori stellari dell’Impero Galattico in Star Wars.
Negli ultimi anni però c’è stata una parziale inversione di tendenza e stanno diventando sempre più popolari i “CubeSat“.
Si tratta di satelliti in miniatura costituiti da uno o più unità cubiche di 10 cm di lato. Peso massimo 1.33 chili per cubo.
Ovviamente hanno delle funzionalità limitate, ma se sono sufficienti perchè scegliere opzioni più grandi (e costose)?
Tipicamente questi micro satelliti vengono portati sulla Stazione Spaziale Internazionale come cargo e messi nella loro orbita dalla ISS.
Oppure vengono aggiunti al carico di un razzo che deve mettere in orbita satelliti più grandi, dopo tutto occupano poco spazio.
In entrambi i casi il meccanismo per eiettarli è costituito da una molla, per quanto sofisticata.
Finora sono stati lanciati circa 2000 CubeSat e il record di lancio appartiere alla Agenzia Spaziale Indiana (ISRO) che insieme a tre satelliti “normali” ha messo in orbita con lo stesso razzo 101 CubeSats simultaneamente.
Nel maggio di quest’anno insieme al modulo Insight (vedi Wikipedia) per l’esplorazione di Marte sono stati lanciati due CubeSat (MarCO A e MarCO B) che aiuteranno InSight a comunicare con la terra.
È il primo caso di CubeSats che lasciano l’orbita terrestre ed è suggestivo che si siano separati da InSight dopo il lancio e che stiano viaggiando da soli verso Marte.
In futuro si prevedono sempre più satelliti di questo tipo. L’Italia sta lavorando a uno “sciame” di 100 nanosatelliti in orbita bassa, ciascuno di meno di 10 kg di peso.
Ogni satellite ha un grande campo di vista e può misurare con altissima precisione (meno di 10 miliardesimi di secondo) il tempo di arrivo della radiazione di alta energia dai lampi gamma (per i lampi gamma – Gamma-Ray Burst – leggi anche le curiosità di maggio 2009 – dicembre 2011 e maggio 2011 e leggi su MediaInaf Stelle di neutroni, là dove gli atomi collassano).
Triangolando i tempi di arrivo sarà possibile localizzare il lampo gamma nel cielo con grande precisione.
I vantaggi di uno sciame di questo tipo sono molteplici.
Citiamo tra i più importanti: basso costo – i satelliti sono piccoli e tutti uguali – e modularità – si può cominciare a lavorare anche con pochi satelliti e se qualcuno smette di funzionare non è un gran problema.