La curiosità del mese a cura di Daniele Spiga
Un biglietto per Marte andata e ritorno, grazie!
Era il luglio 1969 quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin mettevano piede per la prima volta sulla Luna, e il padre del programma spaziale USA Wernher von Braun si diceva convinto che mandare astronauti su Marte fosse una questione di un paio di decenni al massimo. Ma siamo nel 2021, abbiamo mandato sonde orbitanti, lander e rover su Marte, e ancora nessun essere umano ha messo piede sul Pianeta Rosso. Come mai? Sono sicuramente venute meno le motivazioni politiche, cioè la corsa allo spazio tra USA e URSS, e quindi si è deciso di tagliare i fondi alla NASA per finanziare altre attività (anche molto discutibili, come la guerra in Vietnam e poi in Iraq…). Ma ci sono anche difficoltà tecniche non trascurabili.
Andare sulla Luna richiede solo 3 giorni, un tempo in cui la sopravvivenza di un equipaggio senza possibilità di rifornimenti è sicuramente possibile (anche in caso di inconvenienti, come ha rivelato il celebre incidente avvenuto all’Apollo 13). Invece, un viaggio verso Marte (Figura 1) richiede svariati mesi di sola andata, con tutti i rischi connessi alla permanenza prolungata in regime di microgravità, ritardo nelle comunicazioni, esposizione alle radiazioni solari e cosmiche, impossibilità di soccorsi o rifornimenti a breve e medio termine. Ma, in concreto, perché un viaggio verso Marte dura così tanto?
Alla distanza minima dalla Terra (le “grandi opposizioni”) Marte si trova a soli 56 milioni di km da noi. Quindi uno potrebbe fare le proporzioni con la distanza della Luna e concludere che su Marte si arriva in 13 mesi circa. Ma sbaglierebbe: non basta attendere queste condizioni, peraltro rarissime, e “partire a razzo” in linea retta verso Marte. A parte che nel tempo di volo, Marte si sarebbe già spostato e quindi lo mancheremmo… ma soprattutto, i veicoli spaziali, come i pianeti, si muovono principalmente sotto l’effetto della gravità del Sole, e quindi – non si scappa – la legge di gravitazione universale e le leggi della dinamica ci dicono che un veicolo spaziale dovrà per forza, una volta che ha spento i propulsori e se non supera la velocità di fuga, seguire una traiettoria ellittica. E siccome anche le orbite dei pianeti sono ellissi-quasi-circonferenze, tutto quello che dobbiamo fare è trovare una traiettoria ellittica che incroci sia l’orbita terrestre che quella marziana.
Fu l’ingegnere tedesco Walter Hohmann a studiare per primo, negli anni ’20 del XX secolo, le traiettorie che permettono di passare da un’orbita planetaria ad un’altra nello stesso piano (Figura 2). Partendo dall’orbita terrestre, si imprime una prima accelerazione al veicolo per entrare su un’orbita eccentrica, calcolata in modo di allontanarci dal Sole, con l’asse maggiore dell’ellisse pari alla somma dei raggi delle orbite terrestre e marziana (che qui per semplicità supponiamo circolari). Naturalmente, allontanandoci dal Sole, rallenteremo e quindi, pur avendo inizialmente superato Marte, verso l’arrivo rischieremo di essere a nostra volta sorpassati. Solo allora ci servirà un secondo cambio di velocità per affiancare Marte e poi metterci in orbita intorno ad esso. E a questo punto, potremo pensare con calma a scendere sul suolo marziano.
Questa manovra monoellittica bitangente è quella che comporta il minor aumento di velocità: circa lo stesso che si utilizza per un viaggio sulla Luna! Essa infatti ha un gran vantaggio: sfrutta in pieno la velocità orbitale della Terra di 30 km/s intorno al Sole, come se fosse un “trampolino” (cosa che in un viaggio verso la Luna non è possibile, visto che partecipa dello stesso moto orbitale insieme alla Terra). Ma, vista la lunghezza del percorso, non è certamente la via più breve, in quanto richiede ancora 8 mesi e mezzo. Il guaio è che abbreviare la durata del volo (come in Figura 3) aumenta gli incrementi di velocità necessari, ovvero… la quantità di propellente. E il propellente possiede massa che richiede a sua volta altro propellente per essere trasportato in orbita e accelerato, quindi aumenta in maniera esponenziale con l’aumento di velocità necessario… oltre a occupare spazio a bordo che si potrebbe usare per scorte di viveri, oppure strumentazione scientifica… insomma, un bel rompicapo!
La soluzione di compromesso – attualmente adottata – consiste nel partire quando i due pianeti si stanno sì avvicinando, ma distano ancora 100 milioni di km fra loro. In queste condizioni, il volo dura “solo” 6-7 mesi (Figura 4). Questa è più o meno la traiettoria che Mars 2020 Perseverance, lanciato nel luglio 2020, ha seguito per raggiungere Marte nel febbraio 2021. Occorre ovviamente partire al momento giusto – per questo si fa un “conto alla rovescia” – cioè nel momento in cui la velocità della Terra è orientata nel modo giusto perché l’orbita della sonda la porti a “sfiorare” quella di Marte nel punto in cui Marte si troverà al nostro arrivo. Il periodo ottimale per la partenza si presenta a intervalli di 26 mesi circa (la “finestra di lancio”).
Bene, allora partiamo per Marte alla prossima finestra! Dimenticato nulla…? Casco e tuta spaziale, acqua, cibo, medicinali, microscopio, trivella, spettrometro a raggi X, carte per la briscola…? Calma! Abbiamo pensato al ritorno? A parte che ci servirà il propellente anche per abbandonare Marte – e supponiamo di essere così bravi da produrlo sul posto – quanto dovremo soggiornare su Marte perché i due pianeti siano nella posizione giusta per fare solo 6 mesi e mezzo di viaggio di ritorno (Figura 5)?
Ben 17 mesi e mezzo, esposti in permanenza alle radiazioni cosmiche e solari, che senza la protezione della magnetosfera terrestre (la quale invece ripara piuttosto bene tutti noi, compresi gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale) equivarrebbero, con il viaggio di andata e ritorno, a circa 3000 radiografie (a meno di realizzare un rifugio nel sottosuolo, ma bisognerà comunque uscire alla superficie per svolgere le ricerche). Nessuno sa prevedere come reagirebbe il corpo umano sottoposto allo stress ossidativo che ne risulterebbe, senza contare il rischio di leucemie e tumori a lungo termine e gli effetti di una gravità ridotta a 1/3 sull’apparato muscolo-scheletrico. E no, non è nemmeno pensabile, dal punto di vista etico, di sperimentarne intenzionalmente gli effetti in un laboratorio a terra.
Al momento, quindi, si ritiene che mandare astronauti su Marte sia troppo rischioso, e che i compiti scientifici possano essere eseguiti dai rover, con efficienza confrontabile, costi molto inferiori, e soprattutto senza rischiare vite umane. E, se ve lo state chiedendo, realizzare e mandare un rover come Perseverance su Marte è costato circa 2.1 miliardi di dollari. Vi sembra uno spreco di denaro pubblico? Bene, considerate che il costo è stato sostenuto principalmente dai 143 milioni di contribuenti USA su un arco di 11 anni. Un misero esborso pro capite di 1.34 dollari all’anno. Soldi, tra l’altro, che sono serviti a far lavorare tecnici, ingegneri e scienziati, pubblici e privati (che a loro volta pagano le tasse e spendono per vivere, quindi alla fine i soldi ritornano…) e su tecnologie innovative, che un giorno serviranno a risolvere problemi qui, sulla Terra. Ma soprattutto, considerate che 2 miliardi di dollari è quello che le persone spendono negli USA in armi da fuoco, in soli 5 mesi. Per non contare i relativi costi sociali. A conti fatti, sarebbe meglio spenderli per un biglietto per Marte, andata e ritorno.
Si ringrazia Davide Sisana per avere gentilmente letto e puntualizzato l’articolo.