La curiosità del mese a cura di Gabriele Ghisellini
Vi ricordate il tunnel della Gelmini? Uno svarione che è rimasto nella storia.
Doveva permettere ai neutrini di andare sottoterra dal CERN, dove nascevano, ai laboratori del Gran Sasso … e permettere di misurare la loro velocità. E allora sembrava che andassero più veloci della luce! Insomma, una gaffe dietro l’altra … Dopo un bel po’ si scoprì che un connettore era attaccato male a qualche computer, e la velocità dei neutrini torna ad essere più piccola di quella della luce. E la Gelmini si scusò: non c’è nessun tunnel!
Non ce n’è nessun bisogno: i neutrini possono viaggiare senza interagire con niente perfino da dentro il nucleo del Sole e attraversano tutta la Terra senza salutare.
Per beccarne uno si fa una fatica boia, perché la probabilità che si scontrino con qualche atomo è minuscola.
Alzate un dito verso il Sole: ogni secondo il vostro dito, anzi la punta del dito, diciamo l’unghia, è attraversata da qualche miliardo di neutrini. Ogni secondo.
Eppure vi sentite ancora bene, no? E non è neanche necessario che sia giorno, perché anche di notte i neutrini prodotti all’interno del Sole trapassano la Terra, e poi il vostro dito … Il Sole ne fa tanti, ma non sono ancora niente in confronto a quelli fatti da una stella quando scoppia e diventa una Supernova.
In un millisecondo o poco più ne vengono prodotti tanti quanto sono gli atomi della stella: più di 1057, che è un numero difficile da immaginare: è un 1 seguito da 57 zeri.
E nel 1987, il 23 febbraio, una dozzina di questi neutrini furono rivelati da uno strumento in Giappone, simultaneamente allo scoppio della Supernova. O meglio, simultaneamente all’arrivo della luce di questa Supernova, che per arrivare qui da noi ci mise 150 mila anni. Era partita più o meno con la comparsa di Homo Sapiens. Questa era, fino a qualche mese fa, l’unica sorgente al di fuori della nostra Galassia per cui avevamo rivelato sia la luce sia i neutrini. E per dire che provenivano dalla stessa sorgente ci basavamo sulla coincidenza del tempo di arrivo, perché ai tempi non si riusciva a misurare la direzione dei neutrini.
Da allora sono passati 31 anni. Il tempo passa e aguzza l’ingegno. Si cercano altri modi per rivelare queste particelle elusive, e si comincia a pensare in grande. Bisogna avere un rivelatore enorme perché ci sia qualche probabilità che un neutrino decida di interagire con qualche atomo e convertirsi in “qualcosa” che sia più facile da rivelare.
Si pensa a dei neutrini ultra-energetici, cose che neanche il CERN … Questi neutrini, interagendo con un atomo, convertono la loro energia in uno sciame di particelle. Che vanno più veloci della luce! Penserete che con questa storia siete già stati fregati una volta, e non ne volete sapere. Ma no, stavolta è vero, ma c’è il trucco: queste particelle vanno più veloci di quanto vada la luce nel mezzo, non nel vuoto.
Il limite invalicabile è la velocità della luce nel vuoto (300 mila km/s). Per esempio, nell’acqua la luce va a 225 mila km/s e nel ghiaccio appena un po’ di più: 229 mila km/s. E ci sono particelle che possono andare più veloci.
Quando ciò succede viene emessa una luce azzurrognola dietro la particella, come se fosse la scia di un motoscafo. Si chiama luce Cherenkov, dal nome del fisico russo che per primo l’ha scoperta.
Quindi c’è bisogno di tanta materia perché ci sia la probabilità non nulla che qualche neutrino si scontri con un atomo. Il neutrino deve essere molto energetico, perché così genera uno sciame di particelle che va più veloce della luce nel mezzo. E questo mezzo deve essere trasparente, in modo da poter vedere il lampo azzurrognolo. Cosa c’è di meglio del ghiaccio in Antartide. Lì la terra è ricoperta da uno strato tra i 2000 e i 3000 metri di ghiaccio. Gratis.
Sono stati fatti centinaia di buchi, dove sono stati infilati dei tubi che reggono dei fotomoltiplicatori, per oltre un chilometro di profondità. Tutta l’area copre circa un chilometro quadrato. Per cui il volume che gli strumenti sorvegliano è di un chilometro cubo.
Non a caso lo strumento si chiama IceCube.
I fotomoltiplicatori sono simili a macchine fotografiche che riescono a scattare una foto quando, improvvisamente, a grandi profondità nel ghiaccio trasparente, si vede un piccolo bagliore azzurro. Non una, ma parecchie macchine fotografiche fanno una foto. Unendo le foto, si può avere un’idea della direzione del bagliore. E quindi da quale direzione arrivava il neutrino. E il 22 settembre 2017 è arrivato un neutrino che aveva una energia circa 22 volte più grande di quello che noi umani sappiamo fare al CERN.
Proveniva da una direzione precisa, verso la costellazione di Orione. E quando si è guardato nel pezzetto di cielo corrispondente alla direzione di provenienza, si è vista una sola sorgente, catalogata come TXS 0506+056.
Un blazar. La notizia è rimasta segreta per nove mesi, poi, il 12 luglio 2018, viene dato l’annuncio con una conferenza stampa negli Stati Uniti. Per la prima volta si è riusciti a sapere chi fa questi neutrini ultra-energetici. Sono i blazar.
Già, i blazar, direte voi. E che razza di sorgenti sono?
Sapete che nel centro di ogni galassia c’è un buco nero mostro che può avere una massa di milioni, e in qualche caso miliardi di soli? Il 99 per cento di queste bestie è dormiente, nel senso che non si vede, attorno a loro, nessuna attività speciale.
Invece l’uno per cento è attivo, perché c’è ancora della massa nei paraggi, che viene attirata, si comprime, si scalda ed emette. E in qualche caso non finisce qui: il 10 per cento di questi buchi neri che sono attivi fa anche un’altra cosa, oltre a ingerire massa: ne espelle un po’, ma non delicatamente.
Una frazione piccola della massa che sta cadendo nel gorgo, prima di oltrepassare il raggio di non ritorno, cambia direzione e viene espulsa e accelerata in due getti che vanno in direzioni opposte. Ricapitoliamo … il 10 per cento dell’un per cento … Quindi uno su mille ce la fa (a fare i getti).
La velocità della materia nei getti è vicina alla velocitè della luce, e non stiamo parlando di noccioline … sono circa un decimo di massa solare all’anno che viene accelerata così tanto.
Quando succedono queste cose la luce viene emessa praticamente solo davanti ai getti, come se fossero dei fari.
I blazar sono le sorgenti i cui getti ci puntano addosso, e per questo li vediamo.
Tanto per fare un esempio, il blazar in questione, TXS 0506+065, è a 6 miliardi di anni luce da noi. Il neutrino e la luce che stiamo vedendo adesso sono partiti quando non esisteva ancora il Sistema Solare.
Quindi adesso sappiamo che i neutrini provengono dai blazar, e molto probabilmente dai loro getti che ci stanno puntando, come dei fucili di cecchini esperti. E quindi? Cosa abbiamo imparato? Che in questi getti devono avvenire delle cose che noi umani …
Per fare i neutrini ci vogliono i protoni energetici. Anzi, la loro energia deve essere circa 20 volte di più di quella dei neutrini, e quindi 440 volte più grande del massimo del CERN. E già questo è abbastanza impressionante.
Per fare questi protoni ci vogliono quindi degli acceleratori molto migliori dei nostri. Che cosa saranno? E qui ci si divide: molte idee, nessuna certezza. Per ora.
E poi questa scoperta realizza un sogno. Adesso non abbiamo solo la luce per esplorare il cosmo.
Da quasi tre anni sappiamo rivelare le onde gravitazionali, e dall’anno scorso abbiamo visto in diretta due stelle di neutroni che formano un buco nero, seguendo questa morte e rinascita sia con le onde gravitazionali che con la luce.
Adesso sappiamo rivelare anche i neutrini. Onde gravitazionali e neutrini interagiscono poco con la materia, e sono difficili da rivelare, ma per lo stesso motivo possono dare informazioni su cosa succede nelle regioni interne delle stelle, da dove la luce non ci arriva.
Sono veramente anni d’oro per l’astronomia e per la fisica tutta.
Per saperne di più
Chi ha sparato quel neutrino? da Media Inaf del 13 luglio 2018
Un neutrino da 5 miliardi di anni da Media Inaf del 12 luglio 2018
Inizia l’era dell’astronomia dei neutrini da Media Inaf del 12 luglio 2018
Emissione contemporanea di fotoni e neutrini da Media Inaf del 12 luglio 2018